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Bilancio e prospettive del trattamento chirurgico delle fratture a tre-quattro parti dell’epifisi prossimale dell’omero P.L.Gambrioli1,F.Odella1,R.Leo1,M.Pivetta2,G.Bernabé1,B.M.Marelli2 1S.S.Dipartimentale di Chirurgia e Patologia della Spalla e del Gomito,II Divisione di Chirurgia Ortopedica e Traumatologia, Istituto Ortopedico G.Pini,Milano; 2II Divisione di Chirurgia Ortopedica e Traumatologia,Istituto Ortopedico G.Pini,Milano DOI 10.1007/s10261-011-0002-x
ABSTRACT Results and perspectives of surgical treatment of 3-4 part proximal humerus fractures ORIF of displaced unstable 3-4 part proximal humerus fractures remains a challenge due to poor bone quality and the difficulties related to reduction and stabilisation of medially unstable fractures with comminution of the humeral calcar. During the last two decades different techniques have been utilised (percutaneous reduction and pinning, open reduction and minimally invasive stabilisation with pins, screws and osteosutures, locking humeral plates, allografts or osseous substitutes as adjuvant in stabilisation and humeral head revascularisation). In spite of the dishomogeneity of the results for the different techniques, we think that locking humeral plates are the main tool in this type of surgery, but particular attention has to be directed to the surgical technique of reduction and stabilisation, mainly in unstable fractures with comminuted medial metaphysis and multifragmented fractures in osteoporotic bone. One of most important aspects to be considered is the treatment of the traumatic bone loss under the cephalic fragment and, medially, at the level of the humeral calcar. Grafts from the iliac crest, allografts, osseous substitutes and bone morphogenetic proteins or growth factors will be of larger utilisation to increase mechanic stability and biologic viability of the fracture for a potential revascularisation of the humeral head. By now, many of these techniques are in development, but the results still need to be evaluated.
Introduzione Il trattamento delle fratture a 3-4 parti dell’epifisi prossimale dell’omero costituisce un controverso capitolo di traumatologia con molti aspetti diagnostici, classificativi e di trattamento in evoluzione e non ancora completamente risolti. Se consideriamo i dati epidemiologici [1], le fratture tipo C nella classificazione AO e le fratture-lussazione riguardano solo il 6% delle fratture dell’epifisi prossimale dell’omero. Nel gruppo delle fratture a 3-4 parti si concentrano però le maggiori difficoltà tecniche di riduzione e sintesi stabile e la più alta percentuale di complicazioni e insuccessi. Si osserva infatti una quota sempre maggiore di fratture a 4 parti ad alta energia in soggetti giovani (fratture instabili per frammentazione della metafisi e deviazione in varo del massiccio cefalico o fratture-lussazione anteriori o posteriori) e fratture a 3-4 parti su base osteoporotica da caduta accidentale dell’anziano, con frammentazione delle tuberosità al limite delle possibilità di ricostruzione, oppure escavazione della testa omerale da parte della diafisi che rende difficile una riduzione e sintesi stabile. Se si esamina la ormai ampia letteratura in merito, nessuna delle tecniche chirurgiche di sintesi proposte – fili di Kirschner, osteosuture, chiodi bloccati, placche a stabilità angolare – sembra aver ottenuto risultati uniformi e nessuna di esse è generalizzabile a tutte le fratture. Questa rassegna si propone quindi di esaminare le problematiche attuali del trattamento delle fratture a tre-quattro parti prossimali d’omero, in base all’esperienza maturata dagli anni Novanta a oggi presso la II Divisione dell’Isti-
tuto Ortopedico G. Pini, nell’ambito della quale sono state trattate annualmente in media circa 50 fratture dell’epifisi prossimale d’omero di diversa gravità, con una elevata incidenza di fratture complesse pluriframmentarie e fratture-lussazione posteriori e anteriori.
La diagnostica strumentale e le classificazioni Oggi riteniamo che la diagnostica strumentale mediante TAC con ricostruzione 3D abbia migliorato in modo decisivo la nostra capacità di individuare la morfologia delle fratture complesse dell’epifisi prossimale d’omero (Fig. 1). Questo approccio diagnostico permette di affrontare meglio il problema classificativo della frattura. Per molti anni il dibattito si è svolto attorno a discussioni che motivavano affidabilità o preferenze per una delle classificazioni più note (Neer oppure AO), soprattutto per definire in quali fratture fosse indicata l’osteosintesi e in quali la protesi,
in funzione dei rischi relativi alla necrosi cefalica. Attualmente riteniamo che ai fini della pianificazione del trattamento le due classificazioni più utili siano quella di Hertel [2,3] e quella più recente di Edelson [4,5]. La classificazione di Hertel [6] completa l’analisi della frattura con quesiti addizionali: quale porzione di calcar postero-mediale è rimasta unita alla testa omerale? Quanto sono scomposte o frammentate le tuberosità rispetto alla testa omerale? La testa omerale è scomposta in valgo o in varo? Vi è una lussazione posteriore o anteriore della testa? La testa omerale è intera oppure fratturata per più del 20% della superficie articolare? Queste domande aggiuntive possono valutare con buona attendibilità il rischio di ischemia della testa omerale. Robinson e coll. [7] ed Edelson e coll. [4,5] hanno invece sfruttato le immagini della TAC 3D per una più precisa individuazione della dislocazione dei frammenti di frattura. Nella stragrande maggioranza dei casi esaminati l’epifisi era scivolata in valgo o in varo e quasi costantemente in direzione posteriore, mentre la diafisi era dislocata anteriormente e medialmente. Queste osservazioni permettono di sistematizzare le manovre riduttive di una frattura. Inoltre la possibilità di disporre di una immagine della testa dall’alto individua una eventuale frattura della testa omerale, che può essere misconosciuta all’intervento perché coperta alla vista dalla cuffia dei rotatori. Poter localizzare prima dell’intervento le linee di frattura a livello della piccola e grande tuberosità nascoste da tessuti molli, ematomi organizzati o callo osseo in formazione evita la dissezione dei tessuti molli e delle connessioni tendinee per ricercare le rime di frattura stesse, evitando ulteriori danni vascolari ia-
Diafisi dislocata anteriormente Fissurazione testa
Testa e trochite separati
Deviazione testa in varo retroversione
Fig.1. La TAC 3D è molto utile per una valutazione completa di una frattura complessa dell’epifisi prossimale d’omero
trogeni. Quindi un utilizzo della diagnostica TAC 3D e di alcune recenti classificazioni può oggi migliorare grandemente la pianificazione e la realizzazione del trattamento.
Il trattamento conservativo I progressi della osteosintesi e della chirurgia protesica hanno spinto in secondo piano il trattamento conservativo. Riteniamo che nel soggetto attivo senza osteoporosi rilevante debba essere fatto ogni tentativo, anche chirurgico, per ottenere la ricostruzione articolare migliore in ogni situazione, mentre nell’anziano con minori necessità funzionali e peggiore prognosi di un trattamento chirurgico su osso osteoporotico e pluriframmentato si debbano valutare le possibilità di ottenere un risultato clinico accettabile con trattamento conservativo e valutare come seconda opzione un trattamento chirurgico. Buona parte delle complicazioni del trattamento di osteosintesi si concentra nell’anziano, a causa del deficitario “bone stock” metaepifisario dovuto all’osteoporosi. Per molti tipi di frattura i risultati funzionali di osteosintesi, protesi e trattamento conservativo sono sovrapponibili. L’obiettivo da raggiungere è quindi una ragionevole previsione che la spalla non sia dolorosa e abbia una funzionalità adatta alle necessità del paziente. La domanda di base da porsi è ovviamente: di quanto posso migliorare il risultato clinico con un intervento o una protesi e quali rischi implica la chirurgia? Sarebbe presuntuoso voler stabilire criteri precisi di scelta, ma in base all’esperienza accumulata in questi anni ci sembra che i criteri radiologici e TAC per scegliere un trattamento conservativo possano essere i seguenti: avere una congruenza tra testa e glena, accettare un valgo della testa omerale attorno a 25°, tollerare un trochite con dislocazione “ad latus”, ma non una risalita o retrazione posteriore con insufficienza della cuffia dei rotatori, tollerare dislocazioni “ad latus” delle fratture del collo sia laterali sia mediali purché vi sia contatto con l’epifisi per il 50% della diafisi e accettare a questo livello varismo o retroversione dell’epifisi di circa 30°. Nell’anziano la diafisi scava frequentemente la testa omerale con accorciamento o varismo cefalico. La riduzione di tale deformazione è spesso fonte di complicazioni chirurgiche e susseguente necrosi cefalica e può essere tollerata per ottenere una consolidazione senza intervento, seppure con perdita di parte del-
P.L. Gambrioli la escursione articolare. Il trattamento conservativo deve comunque essere una soluzione che in caso di insuccesso non precluda la possibilità di interventi secondari soddisfacenti per la funzionalità della spalla. Il criterio principale è che le tuberosità omerali conservino un posizione accettabile per l’impianto di una protesi a scivolamento con cuffia dei rotatori valida e che la cuffia dei rotatori sia conservata e valida.
Valutazione delle differenti metodiche chirurgiche Nell’esperienza presso la nostra Divisione sono state utilizzate tre metodiche di osteosintesi: riduzione percutanea e fissazione con fili di Kirschner o viti cannulate secondo la tecnica di Resch [8] in una piccola serie di pazienti, riduzione aperta e sintesi con fili di Kirschner e osteosuture per buona parte degli anni Novanta e, nell’ultimo periodo, riduzione aperta per via deltoideo-pettorale e sintesi con differenti modelli di placche a stabilità angolare (Locking Proximal Humerus Plate LPHP, Synthes, Switzerland, Philos, Synthes, Switzerland o Polarus PHP Plate, Acumed, Hillsboro, USA). Tuttora l’utilizzo della placca o della sintesi di minima con fili di Kirschner è valutato di volta in volta secondo le opportunità chirurgiche. A queste tecniche si è aggiunto recentemente l’utilizzo del “block bridge” o della “cage” del sistema Da Vinci introdotto da Russo [911], che in molte fratture complesse instabili offre una soluzione in grado di supplire ai limiti della osteosintesi con placca a stabilità angolare.
Riduzione e sintesi percutanea o con “minisplit” deltoideo secondo la tecnica di Resch Classicamente la tecnica di Resch [8] era stata proposta per le fratture a 3-4 frammenti nelle quali fossero conservate una cerniera osteo-periostea e connessioni capsulo-tendinee sufficienti a ottenere una riduzione tramite sindesmopessi dei frammenti ossei con le parti molli. Nella nostra esperienza, la tecnica è stata utilizzata in una piccola serie di 12 casi in fratture nelle quali la testa omerale conservava una cerniera capsulare o periostea mediale sulla quale agire per sollevare la testa senza che si scomponesse l’arco mediale tra calcar e testa omera-
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le. La riduzione anatomica non è stata ottenuta in 4 casi, con residuo valgismo della testa e salienza del trochite, ma i risultati sono stati complessivamente buoni. Non abbiamo avuto necrosi cefaliche in questa serie di fratture con un grado limitato di scomposizione. Nell’esperienza di Resch la tecnica presentava una incidenza di necrosi dell’11%. La maggiore versatilità della riduzione a cielo aperto e sintesi con fili di Kirschner e osteosuture ci ha fatto abbandonare la tecnica percutanea, ma riteniamo che tale tecnica debba essere riconsiderata. Una delle difficoltà che ha fatto abbandonare la tecnica percutanea, e che costringeva a elevate esposizioni alle radiazioni, era la scarsità di informazioni offerte dalla radiologia tradizionale sulla posizione dei frammenti di frattura. Con l’anatomia patologica a 3D offerta oggi dalla TAC molte di queste difficoltà sono state superate, in quanto la posizione dei frammenti è individuata, nel preoperatorio, perfettamente e da diversi punti di vista. Sulla base della TAC 3D, in una recente comunicazione al congresso NISC (Napoli, 2010) [12], Resch ha analizzato 200 fratture a 4 parti consecutive trattate con riduzione percutanea e sintesi con Humerus Block e viti, di cui il 43% presentava una deviazione epifisaria in varo, il 31% in valgo e il 26% neutra. Le fratture in varo erano del tipo da impatto nel 18% dei casi e in distrazione dei frammenti nel 25% dei casi. Le fratture in valgo erano impattate nel 10,5% dei casi. Adeguando le manovre riduttive alle differenti tipologie di frattura, l’Autore ha riportato il 94% di risultati buoni nelle fratture a 3 parti e l’81% in quelle a 4 parti, con un abbandono dell’osteosintesi per la protesi solo nel 5% dei casi. Ciò spinge a riconsiderare l’utilizzazione della riduzione e sintesi con tecnica percutanea resa più stabile dall’utilizzo di un dispositivo come l’Humerus Block [13], che in passato ha forse pagato le difficoltà dell’inesperienza e della scarsa conoscenza anatomo-patologica pre-operatoria della singola frattura da trattare.
Riduzione e sintesi con fili di Kirschner e osteosuture È stata la tecnica di base sino alla fine degli anni Novanta e nella nostra esperienza è utilizzata ancora nelle fratture di soggetti giovani, nei quali i fili di Kirschner e le suture hanno minori complicazioni e maggiore tenuta ossea e si preferisce evitare aggressioni chirurgiche ampie con utilizzo di mezzi di sintesi ingombranti (Fig. 2). Ha rivelato un vantaggio inaspettato nelle necrosi cefaliche: i pazienti trattati con fili di Kirschner percutanei che hanno avuto una necrosi, se l’epifisi omerale è stata correttamente ricostruita, tollerano nell’80% dei casi la necrosi per molti anni (soprattutto se necrosi parziale e senza collasso della testa omerale), mentre i pa-
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Fig. 2. a,b Frattura-lussazione posteriore dell’epifisi prossimale dell’omero trattata con riduzione aperta e osteosintesi con fili di Kirschner e osteosuture. c,d Risultato radiografico e clinico a 3 anni. Consolidazione con rimaneggiamento osseo ma senza segni di necrosi cefalica.Risultato clinico eccellente
zienti trattati con placca hanno una fuoriuscita in articolazione delle viti per collasso della testa e richiedono la rimozione della placca e il trattamento protesico precoce, con talvolta danni cartilaginei glenoidei importanti da erosione da parte dell’apice delle viti (Fig. 3).
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di spalla in frattura. Saltuariamente sono state utilizzate viti cannulate per la sintesi della piccola tuberosità o per ricostruire stabilmente la struttura metafisaria in caso di fratture con grossi frammenti del calcar. I limiti tecnici di questo tipo di osteosintesi sono la precoce mobilizzazione
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le sue varianti che permettono una direzione obbligata o libera delle viti a stabilità angolare, è divenuta lo standard della nostra attività ma, come emerso nella letteratura recente, abbiamo anche noi incontrato una serie di problemi tecnici che riguardano il posizionamento corretto della placca, il “cut-off” delle viti, la mobilizzazione o la rottura della placca, il “cut-out” delle viti a livello della testa in soggetti osteoporotici o fratture instabili in varo. Complessivamente questo gruppo di complicazioni tecniche in una ristretta serie di 52 casi operati e controllati si è verificato nel 15,4% dei pazienti, con una incidenza di osteonecrosi del 7,6%. Si tratta di problemi in maggior parte legati a una riduzione della frattura e a una tecnica d’impianto della placca inadeguate e in parte a situazioni nelle quali anche la placca a stabilità angolare sembra incontrare limiti rilevanti. Se consideriamo statisticamente questo tipo di problemi, la loro incidenza è minima nelle fratture a due frammenti del collo chirurgico e cresce progressivamente nelle fratture a 3 e 4 frammenti e nel segmento delle fratture complesse. Thanasas e coll. [15], in una review della letteratura tra il 2003 e il 2007, comprendente 791 pazienti con fratture a 3-4 parti trattati con sintesi mediante placche
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Fig. 3. a Necrosi in frattura dell’epifisi prossimale d’omero trattata con placca e viti.La sporgenza delle viti ha imposto un trattamento precoce con protesi di spalla.b Protesi atteggiata in varo per adattamento all’epifisi,come spesso accade in questa patologia in quanto la placca spinge medialmente il trochite.c Risultato clinico soddisfacente in relazione all’età della paziente
Nella nostra esperienza di sintesi con fili di Kirschner abbiamo sempre utilizzato un accesso deltoideo-pettorale per la riduzione della frattura e i fili sono stati inseriti per via percutanea lateralmente a raggiera a sostegno della testa omerale sulla diafisi. Non abbiamo mai utilizzato fili “dall’alto” in quanto causano limitazione di movimento e scomposizioni per conflitto con il bordo acromiale e la loro presenza è strettamente correlata all’incidenza di infezioni. Trochite e piccola tuberosità sono state sempre solidarizzate tra di loro con osteosuture e distalmente facendo passare le suture attraverso fori nella diafisi, oppure al di sotto dei fili di Kirschner per creare un cerchiaggio a 8 con ancoraggio tendineo sulla cuffia, come nella osteosintesi delle tuberosità nella protesi
dell’impianto a causa dell’osteoporosi e la necessità di avere pazienti collaboranti con controllo quotidiano della stabilità e della sterilità dell’ingresso dei fili di Kirschner. Spesso l’elemento di stabilizzazione e sintesi più importante è costituito dall’utilizzo delle osteosuture con ancoraggio sulla cuffia per mantenere almeno la forma dell’epifisi sino alla consolidazione [14]. I risultati ottenuti con questa tecnica sono stati, nella nostra esperienza, altamente soddisfacenti e il passaggio all’utilizzo della sintesi con placca a stabilità angolare è stato dettato soprattutto dalla più agevole gestione del paziente con mezzi di sintesi interni e stabili.
a stabilità angolare, hanno rilevato una percentuale di osteonecrosi del 7,9% e complicazioni da sporgenza delle viti in articolazione nell’11,6%. Il tasso di rein-
terventi era del 13,7% e le cause di reintervento erano: perdita di riduzione e “cut-out” delle viti nel 31%, necrosi avascolare nel 21%, cedimento dell’impianto nel 20%, infezioni nel 14,4% e pseudoartrosi nell’8,8%. Le complicazioni in relazione all’impianto della placca erano: rottura nello 0,7%, mobilizzazione dell’impianto nel 2,6%, perdita di riduzione nel 12,2%, “cut-out” delle viti nell’11,6% e “impingement” di placca troppo prossimale nel 2,9%. Helwig e coll. [16], in 71 casi, riportano perforazione della testa da parte delle viti in 11 casi, malriduzione della frattura in 8 casi, 12 casi di placca alta, 6 necrosi cefaliche totali e 9 necrosi parziali. Clavert e coll. [17], su 73 pazienti, riportano “cut-out” delle viti o placca alta nel 13,7% dei casi, scomposizione secondaria nell’8,2%, pseudoartrosi nel 5,5% e 16,4% di necrosi parziali. Südkamp e coll. [18] riportano, su uno studio multicentrico di 155 casi, 52 pazienti con complicazioni; di queste il 55% era direttamente in relazione alla procedura chirurgica iniziale e più del 40% delle complicazioni era correlato a difetti di tecnica nella riduzione e nel posizionamento della sintesi. Brunner e coll. [19], in uno studio multicentrico di 158 casi, rilevano complicazioni in relazione all’impianto nel 10% dei casi con prevalenza in soggetti anziani, mentre le complicazioni non in relazione all’impianto sono il 35%, senza una relazione con l’età, ma solo con la crescente complessità della frattura. Infine Solberg e coll. [20], in una casistica di 70 pazienti, suddividono le complicazioni in due gruppi di fratture, quelle in valgo e quelle in varo. Complicazioni come la necrosi avascolare, la perforazione della testa omerale, la perdita di stabilità della sintesi, la deviazione in varo della testa omerale sono state osservate nel 79% delle fratture in varo e nel 19% delle fratture in valgo, evidenziando le maggiori difficoltà di riduzione e sintesi nelle fratture in cui la stabilità mediale è compromessa (Fig. 4). Un primo commento di questa rassegna è sicuramente che la più temuta delle complicazioni, la necrosi avascolare, è certamente la più grave e la più diffi-
La placca a stabilità angolare La placca a stabilità angolare, nel-
Fig. 4. Osteoporosi , erosione della testa omerale e deviazione in varo con cedimento del calcar mediale sono le principali cause del fallimento della osteosintesi con placche a stabilità angolare
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Ortopedia e Reumatologia cilmente evitabile perché legata al danno biologico vascolare da frattura. Un secondo commento è che la maggior parte degli insuccessi dipende dal non adeguato posizionamento dell’impianto e dalla sua più o meno valida efficacia in particolari tipi di fratture e in soggetti con grave osteoporosi. Ciò sta a sottolineare che si tratta comunque di una chirurgia “difficile” tecnicamente e che si devono valutare, in alcune particolari fratture, approcci di sintesi differenti, in quanto talvolta gli insuccessi sono legati a limiti intrinseci della sintesi con placca a stabilità angolare.
Il sistema Da Vinci con “cage” metallica secondo la tecnica di Russo Non si può affermare che un sistema di osteosintesi sia in grado di affrontare tutte le situazioni che possiamo incontrare nel campo delle fratture a 3-4 parti. Nelle fratture complesse instabili in varo o con estesa perdita ossea metaepifisaria o frammentazione delle tuberosità che, malgrado l’osteosintesi mediante placca a stabilità angolare, rimangono instabili medialmente e nelle quali la placca laterale agisce come tirante invece che come sostegno – ruolo che le è più congeniale ed efficace – può essere utile considerare sintesi concettualmente differenti. I tre principi del trattamento delle fratture dell’estremo prossimale dell’omero sono: la ricostruzione della parte mediale della frattura nel modo più perfetto possibile, un eventuale riempimento del vuoto sotto la testa omerale per sostenere meccanicamente e creare un ponte biologico per la rivascolarizzazione cefalica e una osteosintesi stabile. Nelle fratture instabili medialmente si è preso in considerazione un sostegno mediale, ed episodicamente si è fatto ricorso a sintesi con viti o a una placca mediale oltre a quella classica laterale. Oppure si può pensare a un sostegno interno che stabilizzi la testa sulla metafisi. Un chiodo bloccato non può svolgere questo ruolo perché non potrebbe né sostenere né fissare una testa omerale instabilmente ridotta sulla metafisi, e quindi si è pensato da tempo a una osteosintesi supplementata da un sostegno interno a livello metaepifisario. La scelta del tipo di sostegno – innesto osseo autologo, “allograft”, sostituti dell’osso e utilizzo collaterale di fattori di crescita ossea – costituisce ancora un problema aperto, in quanto ognuna delle proposte ha vantaggi e limiti peculiari. Vandenbussche e coll. [21] hanno utilizzato un innesto massivo tricorticale da ala iliaca di forma triangolare per sostenere la testa omerale e le tuberosità e riempire il vuoto tra testa, diafisi e tuberosità ottenendo una percentuale di necrosi del 14%. Il prelievo di osso dall’ala iliaca è meccanicamente e biologicamente l’opzione attuale più valida, ma introduce tal-
volta un ulteriore sito di morbilità e non può essere proposto di routine, ma solo in casi particolari di soggetti giovani nei quali si cerca di evitare il ricorso a una protesizzazione immediata. Robinson e Page [22] hanno utilizzato un sostituto osseo (Norian Skeletal Repair System – SRS – Norian Corporation, Cupertino, CA). Probabilmente l’utilizzo di sostituti ossei addizionati con fattori di crescita è la scelta più razionale, anche se allo stato attuale non vi sono casistiche che ne accertino valore e limiti. Nella prospettiva di queste esperienze, nell’ultimo quinquennio è stato introdotto da Russo [10] un nuovo metodo di osteosintesi che, utilizzando una “cage” (Fig. 5) composta da due lamine traforate in titanio, ottiene una stabilizzazione di testa e tuberosità in posizione corretta sulla diafisi. Riempiendo la “cage” con materiale os-
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Fig. 6. a-c TAC 3D di frattura pluriframmentaria con sublussazione postero-inferiore della testa omerale in soggetto giovane.d-f Riduzione e sintesi con Sistema Da Vinci e buon risultato clinico a 3 anni di distanza
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Fig.5.“Triangular Augmentation Cage”in titanio (Arthrex – DIMCO) del Sistema Da Vinci di Russo per osteosintesi interna nelle fratture complesse dell’epifisi prossimale dell’omero
seo e fattori di crescita si stimola la neoangiogenesi locale e i risultati sembrano soddisfacenti, con diminuzione delle percentuali di necrosi anche nelle fratture-lussazione, rispetto alle esperienze con placche o fili di Kirschner. Abbiamo iniziato recentemente a utilizzare tale tecnica con risultati preliminari soddisfacenti (Fig. 6).
Conclusioni Sulla base di quanto esposto, le aree di discussione attuale riguardano quindi le fratture a 3-4 parti e soprattutto quelle in varo ad alta energia del giovane e quelle su base osteoporotica nell’anziano (Fig. 7). Le fratture impattate in valgo sembrano avere, nell’ambito delle fratture prossimali a 4 parti, una prognosi più favorevole, quale che sia la tecnica con cui sono state trattate. Per quanto riguarda la necrosi avascolare, non sembra dalla nostra esperienza e dalla letteratura che i metodi di trattamento e le tecniche chirurgiche utilizzate sinora abbiano potuto influire in modo decisivo, ma gli elementi determinanti della necrosi sono le caratteristiche della frattura stessa. Prova ne sia che, in un’epoca in cui l’osteosintesi non era così diffusa, si osservavano percentuali di necrosi cefaliche in fratture trattate conservativamente sovrapponibili o superiori a quelle trattate oggi chirurgicamente. Gli estremi statistici entro
Fig. 7. a Lussazione traumatica anteriore con evidente frattura del trochite e frattura del collo anatomico occulta.b,c Lussazione extracapsulare della testa omerale al momento della manovra riduttiva della lussazione.d-f Dopo tentativi di riduzione stabile, a causa delle limitate dimensioni del frammento cefalico si esegue una protesi di spalla con risultato della mobilità buono,ma deficit di forza rilevanti sulla cuffia dei rotatori
cui oscilla l’incidenza della necrosi avascolare sono ampi e dipendono essenzialmente dal tipo di frattura trattata. Valori dell’11% presentati da Resch nel 1995 [8] riguardano fratture in valgo abbastanza composte da poter essere trattate con riduzione percutanea. Una casistica di fratture a 4 parti in valgo trattate con riduzione a cielo aperto da Jakob e coll. [23] ha dato una percentuale del 26% e una ulteriore casistica di Gerber e coll. [24] del 2003 comprendente anche casi di frattura-lussazione ha dato un’incidenza del 35%; sia la nostra esperienza sia quelle riportate in letteratura sono all’interno di tale
“range” di incidenza. Quindi, malgrado l’incertezza dei risultati, riteniamo comunque giusto proseguire nella osteosintesi quando possibile, non legandosi a un solo metodo di sintesi. Uno degli elementi principali da prendere in considerazione in futuro per migliorare la prognosi di queste fratture ad alto rischio di precaria sintesi e necrosi cefalica è il trattamento del “bone loss” metaepifisario sia per la comminuzione nei traumi ad alta energia sia nell’osteoporosi dell’anziano. Lo spazio vuoto che si crea dopo una riduzione (principale causa della precaria stabilità di una osteosintesi con plac-
ca e viti, che devono per forza arrivare a fare presa in sede sottocorticale con rischio di perforazione della testa omerale e danno articolare) dovrebbe essere riempito con materiale che possa agire da stabilizzatore interno della frattura e conduttore della osteogenesi e angiogenesi. Sinora le soluzioni proposte hanno tutte aspetti discutibili. Questo dato di fatto deve quindi renderci prudenti nelle previsioni di risultato con il paziente, ma dobbiamo comunque spingerci sulla strada della ricostruzione “biologica” per guadagnare una maggior percentuale di risultati soddisfacenti.
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