LO SCALPELLO (2011) 25:60-73 DOI 10.1007/s11639-011-0098-2
Aggiornamenti
La sindrome di Morton A. Volpe Foot & Ankle Clinic, Policlinico Abano Terme
ABSTRACT – MORTON’S SYNDROME Morton’s syndrome (MS) is a typical metatarsalgia, due to an intermetatarsal neuroma. Patients complain of burning pain in the lateral metatarsal region, extending into the third, fourth or both toes. Patients typically experience pain relief by sitting down, removing the shoe, and massaging the foot. The diagnosis is primarily clinical, producing pain by compression with the fingers in the second or third web-space and moving the neuroma up and down between metatarsal bones according to the Mulder’s manouvre. Other sources of forefoot pain can be misdiagnosed as an interdigital neuroma, like metatarsal stress fractures, early rheumatoid arthritis, Freiberg’s infraction, biomechanical disorders of the Mp joint. Therefore, diagnosis needs a confirmation with advanced imaging. Ultrasound (US) intermetatarsal exploration of forefoot, reproducing local pain and Mulder’s click with dynamic manoeuvres, is today, if performed by a well-experienced examinator, an easy and economical test to confirm clinical suspect, with an accuracy of about 90% for intermetatarsal masses greater than 4 mm. There are differing reports about the accuracy of diagnosis with magnetic resonance imaging (MRI), more indicated as a second level examination fot doubtful cases. As for treatment of MS, alcohol injection under sonographic guidance is today a preferred method for intermetatarsal masses greater than 4 mm. Two or three injections of 1 cc of medical alcohol 30% diluted with 70% of xylocaine 2%, injected directly in the mass, are required. In our experience of 150 published cases, success rate is about 80%, without any hindrance to surgery in case of persistent pain. Surgery is indicated in refractory cases and can be done in a formal operative suite in outpatient surgery. The dorsal intermetatarsal approach is preferred, isolating the neuroma from distal to proximal, after transverse intermetatarsal ligament transection. After careful isolation of the third common digital nerve from the thin plantarly directed branches and, if present, the accessory branch of the lateral plantar nerve, the nerve is resected with a new fifteen blade and passed through the fibers of the transverse adductor muscle (neurectomy/relocation technique) to prevent mechanical irritation in case of a stump neuroma. According to literature, results of surgery have been favorable, with 90% of success, when MS was localized in a third web space, but with a worse outcome in cases with second web space (60%) or multiple web space intervention.
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Introduzione Col termine di sindrome di Morton (MS) si indica una caratteristica metatarsalgia nevralgica ad accessi causata da un intrappolamento del secondo o terzo ramo digitale comune del piede, e talora di ambedue. Nel campo delle sindromi canalicolari, dette altrimenti neuropatie da intrappolamento, la MS risulta assolutamente atipica, a causa della formazione del tipico neuroma. Questo fu descritto originariamente da Thomas G. Morton nel 1876 [1], ma meglio definito come entità anatomo-patologica macroscopica specifica da Filippo Civinini, medico pistoiese, nel 1835 [2,3]. La MS viene denominata nella letteratura internazionale con più sinonimi, fra i quali i più diffusi sono neuroma intermetatarsale, neuroma interdigitale, neuroma plantare, neurite interdigitale, metatarsalgia di Morton. Nel corso degli anni la MS ha trovato una sua precisa collocazione clinica, sulla base di studi che ne hanno analizzato l’eziopatogenesi [4], le caratteristiche cliniche [5,6] e quelle anatomo-patologiche [7]. Va sottolineato come il termine neuroma stia a indicare, dal punto di vista istologico, una fibrosi perineurale con edema endoneurale, degenerazione assonale e proliferazione vascolare locale, in assenza di fatti proliferativi del tessuto nervoso vero e proprio, che anzi risultata impoverito e disperso [8]. Come descritto da Volpe e coll. [9], nella MS rientrano sia quadri iniziali di compressione del nervo digitale plantare al di sotto del legamento trasverso intermetatarsale (TIML), sia quadri più evoluti di vero e proprio rigonfiamento del nervo digitale, che assume l’aspetto del classico neuroma, talora tutt’uno con ingrossamento della borsa intermetatarsale [10]. A questo proposito Weinfield e Myerson propongono il termine di neurite interdigitale (“distal intermetatarsal neuritis”, IDN), forse il più adatto a comprendere sia le forme di neuropatia da intrappolamento del nervo digitale sia quelle con evoluzione neuromatosa [11]. Etiopatogenesi I nervi digitali comuni decorrono in un tunnel anatomico costituito superiormente dal le-
gamento trasverso intermetatarsale (TIML), lateralmente dalle due ossa metatarsali corrispondenti, al di sotto delle quali sono presenti, nella loro tunica, i tendini flessori, plantarmente dalla robusta fascia plantare. Nello svolgimento fisiologico del passo questa zona viene sollecitata in senso verticale, a causa delle forze derivanti dalla reazione di appoggio, maggiormente nel periodo di propulsione, appena prima dello stacco dell’alluce. Se lo svolgimento del passo è fisiologico, il rotolamento avviene a livello delle teste metatarsali, mantenute stabili al suolo dal fisiologico irrigidimento medio-tarsico garantito dalla progressiva supinazione sottoastragalica: il peroniero lungo stabilizza il primo metatarsale, valido puntello della colonna interna, e i condili metatarsali sono ben stabili in senso trasversale. All’opposto, in un eccesso di pronazione con conseguente medio-tarsica sbloccata durante il periodo di appoggio, il primo metatarsale diviene instabile e i metatarsali laterali oscillano in senso pronatorio e si avvicinano fra loro. Anche l’azione protettiva della flessione delle dita, importante elemento protettivo in senso biomeccanico per la regione metatarsale, si fa sensibilmente meno efficiente. Ne derivano due situazioni biomeccanicamente sfavorevoli per il fascio nervoso: una oscillazione della componente scheletrica rispetto al piano plantare fisso al suolo (un po’ come se muovessimo la mano dentro un guanto di misura eccessiva ben ancorato al piano di presa, con conseguente strusciamento) e un avvicinamento delle teste metatarsali, con riduzione “funzionale” del tunnel osteofibroso. Evidente il trauma meccanico ripetitivo, che si associa spesso a ispessimento del TIML. Poiché l’arteriola digitale corre a fianco del nervo digitale, ne derivano fattori ischemici ripetitivi, cui viene imputata la progressiva degenerazione della componente nervosa intraneurale. In effetti, sul piano anatomo-patologico, è caratteristica la presenza di ispessimento e sclerosi delle pareti articolari [9]. Accanto a fattori biomeccanici, anche svariati fattori anatomici concorrono alla compressione del nervo. Bossley e coll. [10] hanno dimostrato l’importanza della borsa intermetatarsale nella genesi della compressione. Infatti il rigonfiamento della borsa sottende da sopra il TIML con conseguente aumento dell’effetto di
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taglio del bordo anteriore del legamento nella iperestensione del dito. Questo viene ovviamente amplificato da alcuni tipi di calzatura (scarpa con tacco a spillo) oppure da alcune attività specifiche, fra cui il ballo. Ecco perché la MS è chiamata anche “metatarsalgia dei tacchi a spillo”. Altro elemento da ricordare è la presenza del ramo ricorrente del plantare laterale, frequentemente presente, che limita la mobilità del terzo ramo digitale comune originante dal plantare mediale [11]. Diagnosi La diagnosi di MS è sicuramente clinica, sulla base di una accurata anamnesi e dell’esame clinico, come ricorda ampiamente tutta la letteratura in proposito [5,6]. Il paziente giunge all’osservazione lamentando un saltuario bruciore alla pianta del piede, con crampi e presenza di iperestesie o disestesie alle dita esterne, intolleranza alla calzatura, con necessità di massaggiarsi il piede appena compare il dolore. Non sempre la descrizione è così tipica ed è importante interrogare bene il paziente; da sottolineare tuttavia, come elemento discriminante, la scomparsa del dolore a riposo e la ricomparsa sotto carico. Tipico il “segno della vetrina”, dovuto alla necessità di fermarsi per sfilarsi la scarpa durante una passeggiata. Anche la comparsa del dolore in occasione di specifiche attività sportive, per esempio lo sci di discesa per l’azione compressiva dello scarpone, può rappresentare un elemento indirizzante verso la diagnosi. All’ispezione, nei casi tipici, il piede è apparentemente normale, con assenza di qualsivoglia deformità. Non raramente è presente una distasi del fornice digitale, segno questo però comune a tutte le patologie che creano tensione nell’interspazio, quali borsiti e capsuliti metatarso-falangee. L’esame clinico si esegue a paziente disteso, valutando attentamente la forma dell’avampiede, la cute plantare sottometatarsale, la posizione delle dita. Si saggia delicatamente la motilità metatarsale e la flessione plantare e dorsale delle metatarso-falangee. Si passa quindi all’esplorazione palpatoria degli spazi intermetatarsali, che vengono pinzettati selettiva-
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mente fra pollice e indice. Questa manovra in genere già provoca dolore, con tipica irradiazione verso il polpastrello delle dita corrispondenti. Ciò fatto, l’interspazio viene nuovamente esaminato con pressione più delicata, mentre con l’altra mano vengono avvicinati i metatarsali. Nei casi tipici si realizza un classico scatto quando l’eventuale masserella viene spinta verso la pianta, realizzando quello che Mulder chiamò “click” (segno di Mulder) (Fig. 1). Si passa poi a un accurato esame della sensibilità digitale, sia con strumento a punta sia con diapason vibratorio. La sensibilità vibratoria dell’apice del polpastrello è in genere la più compromessa. Tuttavia non raramente l’esame non è conclusivo e necessita di successiva rivalutazione dopo ulteriori approfondimenti. Oggi l’inquadramento diagnostico della MS non può prescindere, per la conferma del sospetto diagnostico, dalle moderne tecniche di “imaging” radiologico. L’indagine ecografica (US), con precise specifiche tecniche nei dettagli esecutivi, si è dimostrata nel corso degli anni, grazie anche al miglioramento tecnologico delle attrezzature uti-
Fig. 1 - Esecuzione della manovra di Mulder con provocazione del classico “click”
lizzate, sicuramente affidabile e facilmente proponibile, anche per le sue caratteristiche di relativa economicità. All’esame, che va condotto con scansioni ecotomografiche plantari e dorsali, trasversali e longitudinali, con sonda ad alta frequenza da 7,5 MHz, la masserella appare omogeneamente ipoecogenica, ben riconoscibile dal grasso iperecogenico adiacente e dall’ombra delle corticali metatarsali (Fig. 2). Durante l’esame si cerca di allargare fra loro gli spazi intermetatarsali, esercitando una leggera pressione sull’avampiede, per migliorare le possibilità di esplorazione ecografica, mentre il riconoscimento della pulsatilità arteriosa accanto al nervo ne facilita l’identificazione e il percorso, migliorando altresì la confidenza diagnostica. Secondo Shapiro [13] e poi Quinn [14], ci si può attendere una affidabilità diagnostica intorno al 95% per masserelle superiori a 5 mm, essendo di 2 mm il limite massimo del nervo normale. Attualmente si esegue l’US con tecnica dinamica (ecografia dinamica), come proposto da Torriani [15] e poi da Perini [16], ricreando durante l’esame il cosiddetto “click” descritto da Mulder [17]. Con questa manovra si lussa manualmente dal lato plantare la masserella neuromatosa, che poi scatta di nuovo verso la pianta del piede nella manovra di avvicinamento delle dita. Secondo Perini, che preferisce utilizzare una sonda lineare da 10 MHz, con questa tecnica è più facile identificare la masserella, che si riconosce più agevolmente nel suo spostamento, risulta dolente se compressa e si può più facilmente misurare nelle sue dimensioni; l’esame diventa così significativo per masserelle da 3,5 mm in su [16] (Fig. 3). L’US, correlata con i risultati chirurgici, conferma così una affidabilità diagnostica ancora superiore, anche nelle doppie localizzazioni [16]. La risonanza magnetica nucleare (MRI) offre ulteriori vantaggi nella diagnosi di MS, anche se è da considerare indagine di secondo livello. Il criterio diagnostico per questa metodica è il riconoscimento di una masserella ovoidale a margini ben definiti, a forma di bisaccia, ben distinta dal piano dei flessori, con segnale intermedio o basso, nelle immagini sia T1- sia T2pesate (Fig. 4). L’accuratezza diagnostica delle due metodiche
Fig. 2 - Esame ecografico. Il neuroma si evidenzia come masserella ipoecogena rotondeggiante.In basso a destra ricostruzione 3D
Fig. 3 - Ecografia dinamica. Evidente lo scivolamento della masserella verso il piano plantare (in alto con direzione indicata dalla freccia grande) rispetto al piano articolare dei due metatarsali (frecce piccole)
Fig.4 - Risonanza magnetica nucleare. Il neuroma è evidenziato come masserella a forma di bisaccia, isodensa, ben distinta dai flessori
è sovrapponibile, con i già riferiti limiti per lesioni inferiori a 4 mm [18]. La MRI si dimostra secondo alcuni Autori, come Zanetti e coll. [19], più utile nella scelta te-
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rapeutica in senso chirurgico, per la maggiore accuratezza nella localizzazione del neuroma e delle sue dimensioni. Sicuramente la MRI è superiore nella diagnosi differenziale, per la sua sensibilità verso le patologie in diagnosi differenziale, come le fratture da stress, le capsulosinoviti meccaniche delle metatarso-falangee, le lesioni della placca plantare, le forme sinoviali articolari, altre patologie delle parti molli come lipomi, angiomi, gangli tendinei [19]. Diagnosi differenziale La MS può entrare in diagnosi differenziale con numerose altre patologie dell’avampiede, in primis la capsulo-sinovite meccanica che accompagna l’instabilità metatarso-falangea. Questa è sicuramente la condizione patologica più frequentemente in diagnosi differenziale, che tuttavia non esclude la coesistenza di un neuroma. In caso di capsulo-sinovite, tuttavia, il dolore è elettivo sulla metatarso-falangea interessata, la mobilizzazione articolare dolente, il dito è atteggiato in iniziale flessione. Il test di stabilità articolare, il cosiddetto Lachman del dito, è positivo. L’infiltrazione selettiva articolare cortisonica dell’articolazione interessata e la successiva rivalutazione del paziente dopo sette giorni può rappresentare un utile criterio ex adiuvantibus. Altra patologia non infrequentemente in diagnosi differenziale è la frattura da stress metatarsale, specie se in presenza di sintomi iniziali o in regressione. Nella lista vanno inserite forme artritiche all’esordio, sia artrite reumatoide sia artrite psoriasica, borsiti intermetatarsali, degenerazione/atrofia del cuscinetto plantare, osteocondrite tipo Freiberg della metatarso-falangea seconda o tipo Panner, nel caso della metatarsofalangea terza. L’elenco delle patologie in diagnosi differenziale è compreso nella Tabella 1. Trattamento Benché la MS sia oggi ben conosciuta e definita negli aspetti anatomo-patologici e istologici, mancano oggi protocolli universalmente accettati per il trattamento. Alcune proposte, come quella di Bennett e coll., che prendono in con-
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Tabella 1
Patologie in diagnosi differenziale con la MS (in ordine di frequenza)
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Metatarsalgia MP2 da capsulosinovite meccanica
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Instabilità MP2/MP3
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Dito ad artiglio in fase di evoluzione
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Metatarsalgia da trasferimento in esiti dolorosi di alluce valgo
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Ipercheratosi metatarsale intrattabile
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Frattura metatarsale da stress
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Osteocondrite M2 (Freiberg)-M3(Panner)
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Borsite intermetatarsale
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Artrite reumatoide all’esordio
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Tunnel tarsale
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Lomboradicolopatia a estrinsecazione distale
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Tumori nervosi (neurilemmoma-neurofibroma)
siderazione misure conservative, infiltrazioni cortisoniche e trattamento chirurgico, non consentono di trarre conclusioni definitive [20]. Ai fini del trattamento, tutti gli Autori sono concordi nell’affermare che il trattamento conservativo della MS va sempre tentato prima di altre scelte [6,9,11]. Possiamo schematizzare il trattamento della MS in tre grandi capitoli: • trattamento ortesico e fisioterapico/riabilitativo; • trattamento infiltrativo e sua evoluzione; • trattamento chirurgico. Trattamento ortesico e fisioterapico/riabilitativo Nel capitolo riguardante l’eziopatogenesi si è ampiamente discussa la patobiomeccanica, che porta alla sollecitazione meccanica del nervo digitale comune da parte delle strutture metatarsali e alla fibrosi conseguente, che coinvolge le parti molli costituenti il tunnel osteofibroso. Il trattamento ortesico mirerà dunque da un lato a frenare l’eccesso di pronazione, dall’altro a diminuire le sollecitazioni verticali, mediante utilizzo di opportuno materiale con funzione di “shock absorber” e “share” elevato (per esempio EVA 100 bianco). Da preferire il plantare su calco in neutra sottoastragalica, con volta longitudinale prolungata a sostenere il primo
metatarsale, con tasto americano invertito e appoggio metatarsale in piano (senza oliva o barra), onde favorire il fisiologico “pattern” dei carichi metatarsali, da laterale a mediale, prima dello stacco sull’alluce. Fondamentale l’accoppiamento con calzatura a volume extra, che accomodi il piede senza costrizioni, una tomaia morbida e una suola robusta del tipo a barchetta, per favorire un rotolamento senza picchi di carico (“smooth transmission”). Il trattamento ortesico va proseguito per tempi prolungati, onde proteggere le strutture a rischio, soprattutto il fascio vascolo-nervoso. Al trattamento ortesico può essere associato un trattamento fisiatrico/riabilitativo, mirato a eliminare la componente flogistica che talora accompagna la MS, a livello sia del cellulare plantare sia delle strutture capsulari adiacenti. Si può inoltre associare un trattamento riabilitativo, di tipo chinesiterapico e drenante, per migliorare la motilità delle teste metatarsali (per esempio nella MS causata da precedente immobilizzazione per traumi) e ridurre l’edema locale, se il drenaggio venoso o linfatico fossero compromessi. Dal punto di vista farmacologico può esservi indicazione a utilizzare FANS e neurotrofici, anche se non esistono dimostrazioni di reale efficacia di tali trattamenti nei confronti della sintomatologia direttamente correlata alla MS e non a eventuali patologie associate. Nello studio di Bennett il 41% dei casi trattati conservativamente (scarpe adatte a volume extra, ortesi di scarico, “pad” metatarsali morbidi) dimostra miglioramenti significativi con queste procedure non invasive. Nella nostra esperienza, tuttavia, tali trattamenti, in caso di neuroma doloroso, confermato dall’“imaging” e di grandezza superiore a 5-6 mm, non sembrano dare risultati convincenti, dimostrandosi più un mezzo per convivere accettabilmente col dolore che un trattamento vero e proprio [6,11]. Trattamento infiltrativo e sua evoluzione Le opzioni infiltrative erano rappresentate fino a poco tempo fa dal trattamento infiltrativo cortisonico, oppure dalla fenolizzazione diretta del nervo. Il primo tipo di trattamento sembrava dare risultati discreti, ma assolutamente temporanei, ed è indicato semmai, come suggerito da Ra-
smussen e coll., come test diagnostico [21]. L’utilizzo di guida ecografica per un miglior centraggio dell’infiltrazione, con impiego di Celestone Chronodose da 5,7 mg/ml in singola infiltrazione, sembrava non modificare il risultato finale, che permane mediamente buono, ma assolutamente temporaneo [22]. Si aggiunga che sono segnalati anche effetti collaterali negativi del trattamento infiltrativo cortisonico, con possibili rischi di atrofia del cuscinetto plantare e discromie/atrofie cutanee, con notevole danno estetico e funzionale [23]. In alternativa alle infiltrazioni cortisoniche, la fenolizzazione diretta del nervo ha dato, nelle mani di alcuni Autori, risultati promettenti [24]. Tuttavia l’azione istiolesiva e potenzialmente necrotizzante del fenolo, pur efficace nell’eliminare il dolore nevralgico per la nota azione neurolitica diretta, era gravata da un alto tasso di disturbi collaterali, con riscontro di danni anche severi alle parti molli intermetatarsali, quando poi si debba passare alla chirurgia aperta [24]. Nel campo del trattamento infiltrativo della MS, è l’alcolizzazione a offrire semmai prospettive più promettenti, in reale alternativa alla chirurgia. L’etanolo iniettato intorno e dentro il nervo produce una neurolisi chimica, attraverso disidratazione, necrosi e precipitazione del protoplasma. L’utilizzo dell’alcool diluito (4%) per infiltrazione diretta del neuroma di Morton è stato descritto da Dockery fin dal 1999 [25]. Concettualmente l’alcool, dimostratosi tossico per la fibra nervosa, presenta effetti collaterali più ridotti rispetto al fenolo nei tessuti circostanti. A dimostrazione di ciò, nello studio succitato si otteneva fino all’82% di successi su una popolazione di 100 pazienti. Tale percentuale saliva all’89%, tenendo conto dei risultati parziali. Vanno ricordati altri due studi, uno di Fanucci e coll. del 2004 e uno di Hyer e coll. del 2005 [26,27], con una risposta positiva nel 90% dei 40 pazienti trattati da Fanucci con 4 iniezioni di alcool al 30% e 6 buoni risultati su 8 neuromi nel lavoro di Hyer. In ambedue gli studi si sottolinea da un lato l’importanza della selettività infiltrativa, grazie al centraggio sotto guida ecografica, e dall’altro l’effetto “sclerosante” dell’alcool, dimostrato dalla modificazione ecografica della masserella, che diventa disomogeneamente iper-riflettente, con fini echi intermedi, alle ecografie successive.
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Bencardino e coll. [28] hanno presentato i risultati di un ampio gruppo di pazienti con neuroma di Morton trattati con alcolizzazione ecoguidata. Si trattata di 101 pazienti selezionati per il trattamento, avendo escluso 40 pazienti sottoposti a chirurgia per presenza di patologie associate. La grandezza del neuroma nel suo diametro trasverso variava fra 7 e 11 mm. Venivano eseguiti 4 trattamenti con una soluzione di 0,1 ml di alcool etilico diluito con bupivacaina, ottenendo così 0,5 ml al 20% di diluizione. Gli Autori sottolineano da un lato la necessità della guida ecografica per iniettare l’alcool selettivamente all’interno della massa neuromatosa,e dall’altro la necessità di ripetere il trattamento almeno per 4 volte consecutive, con trattamenti intervallati a distanza di 2 settimane. Unico effetto collaterale negativo, un dolore persistente accompagnato a edema locale, di durata da 2 giorni a 3 settimane, nel 20% dei pazienti. I pazienti rivalutati a distanza di 10,5 mesi secondo il classico questionario di Johnson [29] passavano globalmente da un grado 8 a un grado 0. Hughes infine presenta un gruppo di 101 casi trattati con alcolizzazione (soluzione al 20%) ecoguidata del neuroma di Morton, rivalutati con metodo rigoroso [30]. I pazienti vengono rivisti a un intervallo medio di 21,1 mesi. Tecnicamente tutti i pazienti ottengono una modificazione completa della ipoecogenicità caratteristica del neuroma al controllo ecografico dopo i 4 trattamenti. Un miglioramento totale o parziale del dolore si ottiene nel 94%, una scomparsa totale dei disturbi nell’84%. Il 17% dei ca-
Fig. 5 - Iniezione dorsale per alcolizzazione ecoguidata. Fondamentale il raccordo flessibile fra ago e siringa per un comodo brandeggiamento
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si presenta disturbi transitori, come edema e dolore temporaneo, per qualche giorno dopo il trattamento. Inoltre la masserella neuromatosa, controllata a 6 mesi, dimostrava una diminuzione del suo diametro mediamente del 30%. Questi risultati fanno riflettere, per la bassa morbilità del trattamento in confronto alla chirurgia, cui comunque i pazienti possono accedere in caso di insuccesso. Abbiamo recentemente pubblicato i dati della nostra esperienza [31] che riassumiamo brevemente. Fra il febbraio 2006 e il febbraio 2008 abbiamo infatti arruolato con indicazione al trattamento di alcolizzazione ecoguidata 200 pazienti con diagnosi clinica di neuroma di Morton sintomatico, con conferma ecografica di masserella di dimensioni comprese fra 4 e 11 mm. I valori inferiori non sono stati ritenuti affidabili per il trattamento ecoguidato, mentre quelli superiori a 11 mm sono stati considerati associati a un eccessivo rischio di mancata risposta per le dimensioni del neuroma stesso. Criteri di esclusione sono stati patologie associate dell’avampiede con sintomatologia non univoca per neuroma, casi di recidiva post-chirurgica, terapia anticoagulante. Nella nostra serie abbiamo utilizzato alcool diluito al 30% in soluzione con anestetico locale ad azione rapida (lidocaina) per un totale di 1 cc, soluzione che sul piano teorico si dimostrava sufficiente a produrre inibizione del segnale nervoso negli studi in vitro [32]. Abbiamo dunque utilizzato una miscela di alcool assoluto al 30% diluito con xilocaina al 70% per un totale di 1 cc in una siringa con ago 23G. Abbiamo utilizzato un raccordo fra siringa e ago per rendere più agevole la manovra infiltrativa. Il trattamento è sempre stato eseguito previa accurata sterilizzazione della cute, con successiva disinfezione e applicazione di cerotto sterile. L’infiltrazione è sempre stata eseguita dopo studio ecografico plantare e dorsale, mediante inserimento dorsale dell’ago, che viene ecoguidato verso la massa ipoecogena (Fig. 5). La posizione dell’ago viene monitorata in fase successiva anche plantarmente, per un controllo bidimensionale del centraggio (Fig. 6). Il protocollo ha previsto 2 trattamenti a distanza di 15 giorni, più un terzo trattamento da riservare a casi senza risposta sui sintomi,
oppure in presenza di masserelle voluminose che non dimostrassero, dopo il secondo trattamento, presenza di sufficiente modificazione, in senso iperecogeno, della massa. Nella nostra serie il trattamento è risultato sempre molto ben accettato dai pazienti, i quali avvertono solo un piccolo fastidio al momento dell’introduzione dell’ago, con dolore transitorio della durata di qualche secondo. È rilievo comune un certo minimo edema con fastidio 2-3 giorni dopo il trattamento. Per questa ragione abbiamo sempre prescritto riposo, ghiaccio, FANS e analgesici per i primi giorni. Solo in 4 casi il trattamento ha causato un “discomfort” significativo con dolore (in un caso fino a una settimana), poi comunque completamente regredito. A 2 mesi dall’ultimo trattamento è stato eseguito un controllo clinico ed ecografico. In tutti i casi è stata notata una variazione della tessitura ecogena in corso di terapia, con presenza di fini echi intermedi a livello della zona primitivamente ipoecogena (Fig. 7). Centocinquanta pazienti sono stati rivisti e intervistati, attraverso una scheda AOFAS modificata, per valutare i risultati. Si tratta di 115 donne e 35 uomini di età media 52 anni (min. 22/max 74). Quanto alla localizzazione del neuroma, in 93 casi era situato nel terzo spazio (62%) e in 57 casi nel secondo spazio (38%). Nella revisione, con un intervallo medio dal termine del trattamento di 1,6 mesi (max 36 mesi/min 13 mesi). abbiamo considerato i risultati come segue: • ottimi, in caso di scomparsa totale dei sintomi; • buoni, in caso di deciso miglioramento dei sintomi, ma con persistenza di lievi fastidi; • insoddisfacenti, per persistenza dei sintomi. Abbiamo ottenuto: • 81 casi ottimi, pari al 54%; • 39 casi buoni, pari al 26%; • 30 casi insoddisfacenti, pari al 20%. Il punteggio AOFAS medio dopo il trattamento è stato di 86 (min 40/max 100). Fra le complicanze non c’è da sottolineare alcuna reazione settica o allergica, 4 reazioni infiammatorie locali temporanee, della durata media di 4 giorni (min 2/max 10). In casi selezionati abbiamo eseguito uno studio con MRI che ha confermato la scomparsa della massa, con fibrosi sostitutiva.
Fig. 6 - Controllo della posizione dell’ago (iperriflettente indicato dalle due frecce piccole) che deve essere rigorosamente entro la masserella ipoecogena (area cerchiata)
Fra i pazienti insoddisfatti 8 sono stati successivamente operati, tre presso il nostro centro. Nei tre casi operati per fallimento del trattamento in senso clinico (presenza di dolore Morton-correlato invariato o aumentato), durante l’intervento di neurectomia per via dorsale non è stata rivelata alcuna alterazione macroscopica dei tessuti adiacenti al neuroma. Dopo la neurectomia il pezzo è stato sempre inviato per l’esame istologico, il quale, in tutti i tre casi, ha dimostrato presenza di sclero-
Fig.7 - Variazione della tessitura ecogena dopo alcolizzazione. A sinistra aspetto del neuroma, tipicamente ipoecogeno, a destra controllo a tre mesi con presenza di fini echi intermedi e tessitura ecogena affine al tessuto circostante, a testimonianza della connettivizzazione indotta dall’alcool
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jalinosi con picnosi, associata a schiarimento citoplasmatico e apoptosi con cellule fantasma. Questi elementi istologici consentono di affermare che l’alcolizzazione ha indotto, come atteso, una sclerosi sostitutiva, con scomparsa quasi totale della componente nervosa. Tutti i 3 pazienti sono completamente guariti, senza alcuna problematica, conseguendo un risultato ottimo. A conclusione dello studio potevamo affermare che l’utilizzo di soluzione alcolica al 30% si era dimostrato a nostro avviso efficiente ed equilibrato, potendo ridurre la media dei trattamenti a 3, rispetto ai 4 proposti da Hughes [30]. Alla luce della nostra esperienza ribadivamo l’importanza di un trattamento ecoguidato, che ci garantisce selettività, accanto alla possibilità di monitorare l’evoluzione del trattamento mediante controllo della ecogenicità. L’ipoecogenicità era la dimostrazione indiretta della fibrosi intraneurale ed era confermata dalla sclerosi, associata a segni indiretti di necrosi cellulare, riscontrata negli “specimen” istologici dei tre pazienti operati. A questo proposito affermavamo di aver ritenuto corretto l’aver ristretto il trattamento a neuromi sintomatici fra 4 e 11 mm. Grandezze inferiori aumentano il rischio di iniezione al di fuori della massa, grandezze maggiori non sono a nostro avviso trattabili con questa tecnica, per la difficoltà di far diffondere l’alcool in tutto il tessuto da trattare. Tutti i pazienti, indipendentemente dal risultato, hanno presentato un aumento della ipoecogenicità, definibile come un incremento della tessitura, con fini echi intermedi, che vanno progressivamente a omogeneizzare il tessuto neuromatoso all’ecogenicità del tessuto adiposo circostante. Non significativamente presente invece una riduzione di volume del neuroma, che anzi, nella nostra esperienza, rimane generalmente di dimensioni invariate. Come si possono dunque spiegare i risultati insoddisfacenti? Innanzitutto molti pazienti con neuroma di Morton presentano patologie associate che, seppure non significative al momento dell’arruolamento, lo possono diventare in corso di trattamento. Ne residua una metatarsalgia mista, in cui la componente nevralgica è in parte sovrastata da quella biomeccanica. Altre situazioni possono concorrere al persistere dei di-
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sturbi, quali un morfotipo a rischio (piede cavo-varo), atrofia del cuscinetto plantare, disturbi circolatori di tipo flebopatico o linfatico. Esistono poi varianti anatomiche, ampiamente descritte, quali la presenza del ramo ricorrente dal plantare laterale e la presenza di branche espansive plantari, che sono, a nostro avviso, le ragioni per cui nei tre pazienti operati il disturbo era rimasto invariato, pur in presenza di un neuroma praticamente privo di fibre nervose [9,11]. In conclusione la nostra esperienza dimostrava che l’alcolizzazione ecoguidata (con percentuale di alcool al 30%) per neuromi di Morton sintomatici di dimensioni adatte (fra 4 e 11 mm) si dimostrava una tecnica ben tollerata e sicura, efficace almeno quasi quanto la chirurgia (70% di risultati ottimi e buoni, in assenza di effetti collaterali significativi e senza necessità di prescrizione di riposo, contro l’88% di buoni e ottimi della chirurgia in una nostra precedente revisione su 146 casi). A evidente vantaggio dell’alcolizzazione, il ridotto costo del trattamento e la ripresa immediata che, di fatto, non costringe ad alcuna interruzione della propria attività. In caso di insuccesso, la chirurgia resta un’opzione perseguibile, senza essere resa più complicata o con peggiori risultati a causa dell’alcolizzazione. Trattamento chirurgico La chirurgia del neuroma di Morton rappresenta un capitolo ampiamente discusso e documentato nella letteratura internazionale. L’indicazione a operare viene posta dopo chiara conferma della diagnosi, oggi, nel nostro algoritmo, dopo aver proceduto ad alcolizzazione ecoguidata e davanti a fallimento della stessa. Ulteriore indicazione all’intervento chirurgico è la necessità di procedere al contempo a trattare chirurgicamente altre patologie dell’avampiede, come per esempio alluce valgo o dito a martello. L’intervento può essere eseguito in “day surgery” o in “one day surgery”, sempre in anestesia periferica (blocco di caviglia o anestesia spinale selettiva) più eventuale sedazione, mai in anestesia locale per l’impossibilità, in questo caso, di essere sufficientemente precisi in senso anatomo-chirurgico [33]. L’utilizzo di cannocchiali ingranditori, prefe-
Fig. 8 - Accesso dorsale intermetarsale al terzo interspazio, con interspazio divaricato con autostatico.Il neuroma spinto plantarmente verso il piano chirurgico “occhieggia”chiaramente nella parte distale dell’incisione
ribilmente di 2,5 X, aiuta molto il chirurgo per una dissezione accurata e precisa. L’asportazione del neuroma (neurectomia) si esegue con diversi approcci chirurgici (plantare trasversale/plantare longitudinale/dorsale intermetatarsale). L’approccio dorsale sembra dare maggiori garanzie di successo rispetto alla via plantare, che soffre di non rare complicanze di cicatrizzazione e di atrofia secondaria del cuscinetto plantare [9]. A paziente supino e in campo esangue, ottenuto con fascia di Esmarch e tourniquet emostatico alla coscia o alla caviglia, si esegue un’incisione longitudinale intermetatarsale distale di circa 4 cm, a livello dello spazio interessato. Se si prevede di esplorare l’interspazio adiacente, essa andrà prolungata fino a 6 cm. Caricati e protetti i rami nervosi sottocutanei, rami del nervo dorsale intermedio originanti dal nervo peroniero superficiale, si procede per via smussa dalla tela sottocutanea fino al piano profondo. Si inserisce quindi un divaricatore laminare autostatico tipo Cloward, leggermente modificato per presenza di un piccolo uncino a livello dei rebbi, e si evidenzia il legamento trasverso intermetatarsale (TIML) nonché, distalmente a esso, il neuroma vero e proprio. Tale visione viene facilitata spingendo plantarmente sulla masserella stessa, che occhieggia così dal piano profondo verso il superiore (Fig. 8).
Non raramente il nervo appare composto da un’unica masserella, comprendente la borsite intermetatarsale, struttura che non presenta, nemmeno all’esame istologico, un piano di clivaggio e che conviene dunque asportare in blocco col neuroma stesso. Sezionato il TIML con l’aiuto di una pinza Klemmer curva, è possibile divaricare ulteriormente l’interspazio e procedere all’isolamento del nervo in senso disto-prossimale, andando a evidenziare e sezionare prima i due rami digitali propri. Il neuroma viene progressivamente isolato sezionando le numerose espansioni plantari, e viene altresì sezionato il ramo ricorrente, proveniente dal plantare laterale [12], che rappresenta un ulteriore elemento di mancata mobilizzazione del nervo digitale comune (Figg. 9, 10). Tale nervo deve essere ben identificato e distinto dalle altre formazioni adiacenti, quali l’arteria digitale comune e i minusco-
Fig. 9 - Sezionato il legamento trasverso intermetatarsale (TIML), il nervo viene isolato dalle numerose espansioni plantari,che lo ancorano al piano profondo
Fig. 10 - Quando presente, deve essere sezionato il ramo accessorio proveniente dal plantare laterale
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Fig.13 - Tecnica di neurectomia/rilocazione. Passaggio del nervo attraverso il muscolo adduttore obliquo
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Fig. 11 - Il terzo ramo digitale comune è completamente isolato almeno 1 cm prossimalmente al margine anteriore del TIML
Fig. 12 - L’area di sezione (cerchio nero) viene controllata plantarmente e deve essere ben prossimale al piano di appoggio metatarsale
li lombricali e interossei, fino a essere completamente isolato e mobilizzato (Fig. 11). L’isolamento del nervo digitale comune deve essere il più prossimale possibile, in genere 1 cm prossimalmente al margine anteriore del TIML. Per far questo conviene sezionare almeno per 1 cm il muscolo adduttore trasverso dell’alluce, che è la struttura muscolare orizzontale che attraversa prossimalmente il campo [34]. L’area di sezione, che deve essere ben prossimale alle teste metatarsali, viene controllata a livello plantare; obbligatoriamente il punto di sezione deve essere prossimale all’area di carico, onde evitare elementi di sollecitazione meccanica all’eventuale neuroma da amputazione
(Fig. 12). Onde evitare sollecitazioni meccaniche a carico del moncone nervoso, abbiamo proposto fin dal 1996 il trasferimento del moncone al di sopra del muscolo adduttore, con la tecnica di neurectomia/rilocazione [36]. Di fatto il moncone nervoso viene afferrato con un piccolo Kocher e con un piccolo strumento smusso, in genere uno scolla-gengive, viene eseguita una breccia nel muscolo. Il nervo viene quindi facilmente fatto passare attraverso il muscolo, trazionando delicatamente sul neuroma (Fig. 13). Il nervo digitale comune viene sezionato di netto usando una lama nuova n. 15 per garantire un taglio netto e preciso e inviato al patologo per adeguato esame istologico (Fig. 14). Il moncone nervoso viene assicurato con due piccoli punti laterali 5-0, onde evitare che l’eventuale neuroma da amputazione aggetti verso il piano plantare (Fig. 15). A questo punto, rimosso il laccio, si esegue un’accurata emostasi, lasciando in sede un drenaggio a suzione. Il TIML viene riparato con 1 o 2 punti riassorbibili di piccolo calibro, in genere 2-0, a chiudere l’interspazio, quindi vengono richiusi sottocute e cute, questa con punti riassorbibili (Fig. 16). Dopo la dimissione, viene prescritto riposo assoluto con arto elevato per almeno 5 giorni, poi carico progressivo con scarpetta post-operatoria a tacco posteriore per tre settimane. Quindi è possibile passare a un carico completo con scarpa comoda a suola robusta, mentre la ripresa di attività più gravose, lavorative o sportive, richiede circa sei settimane.
Fig.14 - Sezione del nervo con lama nuova figura N.15, per un taglio netto e preciso
Il paziente deve sempre essere avvertito che la ripresa è lenta e progressiva, procede lentamente anche per mesi, con possibilità di minimo “discomfort” residuo. In genere tuttavia la
Fig.15 - Assicurazione del moncone nervoso al muscolo adduttore obliquo con due piccoli punti laterali riassorbibili in Vycryl 5-0
ferita risulta non dolente, cosmeticamente accettabile, senza disturbi (Fig. 17). Risultati e complicanze Le complicanze, come in tutta la chirurgia aperta, sono legate alla morbilità correlata alla ferita e alla dissezione profonda che si deve eseguire. Dunque possibili problematiche a livello della ferita e possibili infezioni minori, specie se il sog-
Fig.16 - Accurata ricostruzione del TIML,fondamentale per evitare diastasi post-chirurgiche dell’interspazio
Fig.17 - A sei mesi la ferita è ben guarita,cosmeticamente accettabile, non dolente
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Fig.18 - Accesso plantare trasverso per recidiva. In questi casi è necessario esplorare molto prossimalmente ed esplorare anche lo spazio adiacente
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getto è stato trattato con infiltrazioni cortisoniche prima dell’intervento. Altra complicanza è l’ematoma profondo, che può portare a fibrosi cicatriziale dolorosa oppure a ritardata chiusura dell’interspazio trattato, con deiscenza della ferita. Da sottolineare la quasi costante presenza di deficit sensitivo a livello delle dita o del fornice digitale, in genere ben tollerata dal paziente e che si risolve quasi totalmente nel tempo. Talora il paziente avverte una residua sensazione di corpo estraneo, definita come “batuffolo di cotone fra le dita”, di cui è bene discutere prima dell’intervento. Questa sensazione, eminentemente soggettiva, si risolve in genere spontaneamente nel giro di sei mesi. Altra complicanza è rappresentata dal trattamento chirurgico del neuroma in presenza di errata diagnosi, quale per esempio una capsulosinovite meccanica con sovraccarico delle articolazioni metatarso-falangee adiacenti. In tale situazione il paziente non trarrà adeguato beneficio dall’intervento, anzi spesso la situazione andrà progressivamente peggiorando. Fra le complicanze, la più temibile è la distrofia simpatico-riflessa, tipica della chirurgia sui rami nervosi periferici, patologia che può trascinarsi a lungo e con significativa limitazione funzionale. I risultati della chirurgia, pur eseguita in centri qualificati, sembrano attestarsi a percentuali di successo oscillanti fra l’83 ed il 95% [36]. Friscia e coll., in uno studio su 305 piedi in 259 pazienti, riportano un risultato positivo nel 79% dei casi trattati, quando il neuroma era nel terzo spazio, percentuale che scendeva al 60% per neuromi del secondo spazio e al 59% per intervento in caso di neuromi multipli [34]. Turner e Kitaoka riportano il 96% di risultati soddisfacenti in neuromi del terzo spazio, precedentemente trattati con infiltrazioni cortisoniche, senza che il trattamento infiltrativo penalizzasse il risultato [35]. Tutti gli Autori sottolineano la necessità di una accurata diagnosi, premessa fondamentale per un risultato soddisfacente, poiché è in realtà l’errore diagnostico la causa principale di risultato insoddisfacente. In termini di complicanza specifica della chirurgia della MS, il rischio maggiore è rappresentato da un neuroma da amputazione doloroso, più frequente qualora non vengano rispettate le rigorose regole di dissezione appena
descritte. In qualche caso è presente un dolore neuropatico persistente, in presenza di fibrosi aderenziale post-chirurgica, in genere per incompleta asportazione. Trattamento della recidiva o dei postumi dolorosi Si è già accennato al rischio potenziale di una recidiva o di un dolore residuo dopo intervento per neuroma di Morton. I risultati insoddisfacenti, come già detto, si attestano fra il 20% e il 10% dei casi, non sempre sono legati a errori tecnici di esecuzione e non sempre necessitano di ripresa chirurgica [37]. Scorrendo l’elenco delle complicanze, si può dire che ognuna di queste richiede un trattamento adeguato. Quando il dolore neuropatico sia il sintomo principale (in genere si tratta di sintomi da deafferentazione), buone possibilità sono offerte da un trattamento antalgico nelle mani di esperti del dolore, medianti blocchi del simpatico, blocchi nervosi, neurostimolatori. La chirurgia di ripresa è invece indicata sostanzialmente solo nel caso di fatti aderenziali profondi con incompleta asportazione del neuroma, oppure in presenza di neuroma di amputazione doloroso. Ambedue queste situazioni sono difficilmente diagnosticabili con certezza sul piano clinico e dell’“imaging”, limitato dalla cicatrice profonda, per cui la decisione di intervenire va presa con estrema prudenza, dato l’alto rischio di non ottenere un risultato soddisfacente. La ripresa chirurgica viene condotta per via longitudinale o trasversale plantare, a livello dell’interspazio affetto, possibilmente dopo aver individuato il “trigger point” doloroso. Si esegue un’incisione trasversale plantare di circa 4-5 cm, prossimale al piano di appoggio corrispondente alle teste metatarsali, fino a individuare esattamente il ramo digitale comune del terzo metatarsale e l’eventuale ramo ricorrente del plantare laterale (Fig. 18). Il primo passo è rappresentato dall’individuazione del ramo nervoso stesso nel cellulare lasso plantare, procedendo poi in senso prossimo-distale fino a individuare il neuroma stesso o il tessuto fibroso aderenziale coinvolgente fibre nervose. Si esegue una accurata dissezione e una asportazione in toto del materiale sospetto da inviare al patologo. I risultati atte-
si sono appena discreti, attestandosi fra il 66% e l’80% dei casi, con possibili disturbi residui a livello del cuscinetto plantare [38]. Conclusioni riassuntive La MS è oggi ben conosciuta e definita nelle sue caratteristiche cliniche, anatomo-patologiche e di “imaging”. Si ribadisce l’importanza della diagnosi clinica,
premessa fondamentale per conferme diagnostiche di I e II livello. Oggi è sicuramente l’ecografia dinamica l’esame di scelta per la conferma diagnostica, mentre altre indagini (TC, RMN, EMG) vanno considerate di II livello per diagnosi differenziale o casi dubbi. In caso di certezza diagnostica, l’alcolizzazione ecoguidata è il trattamento di scelta, mentre la chirurgia resta una valida opzione successiva in caso di fallimento.
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