archivio di
Ortopedia e Reumatologia
5
Nuove prospettive sperimentali e cliniche per il cemento osseo acrilico: “review” delle moderne potenzialità di un materiale caro ai chirurghi ortopedici, veicolo di farmaci e sostituto dell’osso B. Magnan, M. Bondi, T. Maluta, E. Samaila, C. Dall’Oca Ortopedica e Traumatologica DU, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata, Verona DOI 10.1007/s10261-012-0026-x
ABSTRACT New experimental and clinical perspectives for acrylic bone cement: a review of the modern potential of a very important material for orthopedic surgeons, vehicle of drugs and bone substitute Acrylic bone cement has had for years an important role in orthopedic surgery. Polymethylmethacrylate (PMMA) has been extended from the ophthalmologic and dental fields to orthopedics, as acrylic cement used for fixation of prosthetic implants, for remodeling osteoporotic, neoplastic or metastatic areas and for vertebral fractures repair. The PMMA bone cement is a good carrier for sustained release of antibiotic in the site of infection. Joint prostheses chronic infection requires surgical removal of the implant, in order to eradicate the infection process. This can be performed in the same surgical time (one-stage procedure) or in two separate steps (twostage procedure, which involves the use of an antibiotic-loaded cement spacer). The mechanical and functional characteristics of the spacers allow a good joint range of motion, weight-bearing in selected cases, and a sustained release of antibiotic in the site of infection. The improvement of fixation devices in recent years was not accompanied by the improvement of elderly bone quality. Some studies have tested the use of PMMA bone cement or calcium-phosphate as augmentation-support of internal fixation of these fractures. Over the past 20 years, experimental study of acrylic biomaterials (bone cement, bioglass ceramic, cement additives, absorbable cement, antibiotic spacers) has been of particular importance, offering numerous models and projects: • the evolution of experimental fractures of rabbit femur treated with intramedullary synthesis with PMMA alone or associated with a metal nail • the study of a composite material, characterized by bone cement with low polymerization temperature and bioglass ceramic fibers, with the aim to create a bioactive surface in contact with bone • a bone cement added to sodium fluoride to provide a drug delivery system (at the bone-tissue interface) and induce the pharmacological effects that are useful for prevention of periprosthetic bone resorption • superoxide anion measurement in human leukocyte cultures as a parameter for the reactivity of some tested materials • the tolerance and activity evaluation of cement added to fluoride in adult human osteoblastic cell cultures, with attention to fluoride availability in the contact time with the cement surfaces containing the additivated compound • the biocompatibility and osteoconductive capacity evaluation of a new acrylic bone cement.
Cenni storici e caratteristiche dei cementi ossei acrilici Nessun materiale ha rivestito un ruolo così importante e ha avuto un’applicazione così diffusa come il cemento osseo acrilico in campo ortopedico negli ultimi 60 anni. Abbandonato da molti, talora ingiustificatamente, per la fissazione di protesi all’osso, appare negli ultimi anni un materiale ancora in grado di rivestire nuovi ruoli nella chirurgia ortopedica. Studi sperimentali ed evidenze cliniche stanno rivalutando non solo il suo impiego nella chirurgia protesica, ma anche quello di un biomateriale in grado di veicolare farmaci, di supportare la sintesi di fratture (“augmentation”), di essere impiegato nella realizzazione di spaziatori intercalari e articolari nel trattamento d’infezioni e di tumori osteoarticolari, con prospettive future di fornire il substrato per moderni sostituti dell’osso. Il polimetilmetacrilato (PMMA) è un polimero di sintesi termoindurente a catena reticolata creato da Otto Röhm nel 1901
[1], rivisto poi da Kulzer e Degussa nel 1943 [2]. Le loro ricerche condussero all’introduzione di un PMMA autoindurente, capace di solidificare a temperatura ambiente. Il suo uso si è esteso progressivamente dal campo oftalmologico (lenti intraoculari) e odontoiatrico (otturazioni dentali) a quello ortopedico; conosciuto con il nome di cemento osseo acrilico, è utilizzato per la fissazione di impianti protesici, endoprotesi d’anca secondo Jean e Robert Judet [3] nei primi anni Quaranta e artroprotesi d’anca secondo Kiaer e Haboush a partire dagli anni Cinquanta [4, 5], per il rimodellamento di aree osteoporotiche, neoplastiche o metastatiche, la riparazione di difetti cranici (cranioplastica) e la riparazione di fratture vertebrali (vertebroplastica e cifoplastica). L’attuale successo e popolarità del PMMA in campo ortopedico è in realtà da attribuire a Sir John Charnley, chirurgo britannico pioniere delle moderne protesi d’anca fissate con cemento acrilico [6]. Il cemento osseo acrilico viene
commercializzato in due fasi, una liquida e una solida. La fase solida (polvere) è costituita dal polimero, dal catalizzatore della reazione di polimerizzazione e dal radiopacizzante; la fase liquida è costituita dal monomero, dall’accelerante di reazione e dallo stabilizzatore. Le componenti solida e liquida sono generalmente in rapporto 2:1 [7]. La reazione di polimerizzazione che porta alla formazione del cemento osseo segue un meccanismo di tipo ossido-riduttivo. Il monomero è per definizione una molecola reattiva grazie alla presenza nella sua struttura del doppio legame insaturo C-C. Essendo considerevole il numero di legami covalenti che si instaurano durante la polimerizzazione, si stima un ritiro volumetrico complessivo (“shrinkage”) pari all’incirca al 6-7% [2,8]. Un aspetto di centrale importanza della reazione di polimerizzazione è l’esotermicità. La produzione di calore è stata studiata in vitro e in vivo. In vitro si è dimostrato che il calore aumenta in relazione allo spessore del mantello di cemento, alla temperatura ambiente e al rapporto monomero/polimero. I valori registrati variano tra 70 e 120 °C, tuttavia i dati registrati in vivo sono fortunatamente più bassi, tra 40 e 56°, rappresentando i valori soglia oltre i quali si può provocare denaturazione proteica con i relativi danni biologici (osteonecrosi) [9]. Per la maggior parte dei cementi il tempo d’indurimento varia complessivamente da 10 a 20 minuti [8,10]. I polimeri sono descritti come materiali viscoelastici, un termine generico che enfatizza la loro posizione intermedia tra solidi elastici e liquidi viscosi. Idealmente il cemento presenta un valore di viscosità basso e pressoché costante durante il periodo di mescola, seguito da un aumento veloce della viscosità dovuto al poco tempo necessario per il raggiungimento della polimerizzazione completa.
Applicazioni in campo ortopedico e neurochirurgico Artroprotesi Il polimetilmetacrilato o cemento osseo è ampiamente utilizzato nella pratica clinica per il fissaggio di protesi ortopediche. La trasmissione delle sollecitazioni meccaniche dall’impianto cementato al tessuto osseo e la distribuzione dei carichi acquistano una valenza quasi fisiologica, co-
me risultato delle proprietà termomeccaniche del PMMA, paragonabili a quelle dell’osso. La stabilità dipende dalle caratteristiche di forma e superficie dell’impianto [11-13]. La forma e la finitura dello stelo sono stati ripensati anche in funzione delle proprietà viscoelastiche del PMMA. L’adeguato riempimento del canale diafisario e la superficie liscia degli steli accoppiati al cemento garantiscono un’adeguata rigidità alla protesi (minimizzando lo sforzo sul cemento in zona prossimale), favoriscono la penetrazione del cemento all’interfaccia impianto/osso, creando uno strato di spessore moderato che riduce il picco esotermico e il rilascio di monomeri, migliorano le proprietà meccaniche dell’impianto, garantendo una certa subsidenza dello stelo, e di conseguenza minori micromovimenti all’interfaccia, e il trasferimento sul cemento degli sforzi di compressione, meglio sopportati, anziché di taglio [14,15]. La qualità dell’interfaccia impianto-cemento e cemento-osso è determinante per la longevità della protesi cementata ed è direttamente o indirettamente influenzata dalla tecnica chirurgica, dal carico, dalle proprietà del cemento, dell’osso e dell’impianto. A distanza di più di 50 anni dalla sua introduzione il cemento osseo è ancora il solo materiale utilizzato per la fissazione delle protesi. L’evoluzione del design protesico [16] e delle tecniche di cementazione [17] ha permesso di registrare ottimi risultati nel breve, medio e lungo termine, documentati nei registri scandinavi. Dagli anni Novanta si sono sviluppate le tecniche di cementazione di “seconda generazione”, caratterizzate da tre fasi: preparazione delle due componenti, acetabolare e femorale, cementazione e impianto delle componenti protesiche [18]. La cementazione avviene mediante applicazione manuale al sito acetabolare e pressurizzazione per via retrograda al sito femorale [19]. Un apposito strumento (pistola per cemento) genera all’interno della camera endomidollare una pressione di immissione compresa tra 0,35 e 1,5 MPa; la camera è sigillata prossimalmente dalla pistola stessa e distalmente dal tappo endomidollare [20]. Il manto cementizio deve estendersi per 3 cm oltre l’estremità dello stelo [21]; lo spessore deve essere superiore a 2 mm, specie a livello prossimo-
B. Magnan mediale [22], al fine di prevenire fratture del manto, mobilizzazione degli impianti e aree di osteolisi endostale, cosicché l’inserimento dello stelo diventa una fase critica. L’uso di centralizzatori prossimali e distali può migliorare la distribuzione circonferenziale del cemento attorno allo stelo [20]. Cranioplastica La malleabilità del cemento osseo lo ha reso uno dei materiali di elezione nelle ricostruzione di piccoli difetti cranici e recentemente anche nelle ricostruzioni su misura di importanti lacune: mediante l’utilizzo di TAC in 3D, prototipazione rapida e stampi personalizzati, è possibile ottenere protesi per lacune ossee superiori a 25 cm2 nel giro di poche settimane [23]. Vertebroplastica percutanea Si tratta di una tecnica mini-invasiva, nata in Francia alla fine degli anni Ottanta, dedicata originariamente al trattamento degli angiomi vertebrali sintomatici [24] ed estesa poi al trattamento delle fratture vertebrali patologiche (crolli osteoporotici [25], localizzazioni tumorali primarie o secondarie); permette di stabilizzare la frattura e ridurre significativamente, e in alcuni casi eliminare rapidamente, il dolore associato [26]. Consiste nell’iniezione, per via percutanea e sotto controllo fluoroscopico, in genere attraverso i peduncoli vertebrali, di un cemento osseo o meglio di una resina acrilica biocompatibile all’interno del corpo vertebrale. Prima del 2001 non esistevano resine acriliche specifiche per questa procedura e pertanto veniva utilizzato il cemento osseo per uso ortopedico, opportunamente modificato per ottenere maggiore fluidità e adeguata radiopacità [27]. L’operatore, per facilitare l’iniezione attraverso aghi sottili (11-15 G), può ridurre la viscosità del cemento aumentando il rapporto liquido/polvere a favore del primo; il rischio che si corre è un aumento eccessivo della temperatura di polimerizzazione e del “setting time” del cemento [28], con relativo danno alle strutture neurologiche e vascolari adiacenti. Altro accorgimento utile è l’addizione di extra-opacizzanti (solfato di bario, diossido di zirconio, tungsteno) per favorire la visualizzazione radiologica
archivio di
Ortopedia e Reumatologia
6
[25,28,29]. Si tenga presente che una deviazione sostanziale dalla tecnica tradizionale può decretare il fallimento biomeccanico della procedura stessa (minore resistenza alla compressione, ridotta concentrazione delle catene polimeriche, aumentata intensità degli “stress riser”) [28,30], oltre che incrementare il rischio di fuoriuscita della resina dal corpo vertebrale (“leakage”), che può avere effetti subclinici o, in casi più gravi, determinare paralisi o morte del paziente [31]. Oggi esistono resine specifiche per la vertebroplastica che non richiedono l’intervento dell’operatore e garantiscono una maggiore sicurezza d’uso. Le loro caratteristiche sono la facilità di preparazione, una buona fluidità e viscosità e l’eccellente resistenza alla compressione. Cifoplastica percutanea La cifoplastica rappresenta un’evoluzione della vertebroplastica percutanea con la quale è possibile ridurre il rischio di “leakage” e recuperare parte dell’altezza originale della vertebra fratturata e collassata [32]. La procedura prevede l’introduzione nel corpo vertebrale di un palloncino che viene gonfiato creando una cavità e sollevando la depressione ossea fratturativa; la cavità viene successivamente riempita con una resina acrilica specifica ad alta viscosità in quantità equivalente al volume della cavità creata. L’alta viscosità della resina, la creazione di una cavità e l’introduzione di una quantità esatta di resina riduce sensibilmente il rischio di spandimento e le possibili complicazioni [33]. Cementi ossei con bassa temperatura di polimerizzazione Come precedentemente riportato, il rapporto polvere-liquido nel cemento osseo commerciale è di 2:1. La reazione esotermica che avviene al termine della polimerizzazione sviluppa un’energia proporzionale alla quantità di liquido presente. Il calore generato durante la reazione di polimerizzazione del PMMA è pari a 130 cal/g di monomero. Pertanto, riducendo la quantità di monomero (mantenendo invariata la quantità di polvere), è possibile ridurre il calore generato e quindi anche la temperatura di polimerizzazione. Cementi di nuova generazione, con bassa temperatura di polimerizzazione e ridotta liberazione di monomero sono disponibili, completamente testati e pronti per l’utilizzo clinico [34,35]. In studi sperimentali sull’animale questo cemento a bassa temperatura di polimerizzazione, ridotta liberazione di monomero e realizzato con un rapporto proporzionale polvere-liquido di 3:1 ha permesso una riduzione fino al 40% della quantità di calore rilasciato dal monomero liberato durante la polimerizzazione (Fig. 1) [36].
Fig. 1. Ridotta liberazione di monomero del cemento di nuova generazione (Cemex, Tecres, Sommacampagna, VR) in confronto a quello di vecchia generazione
Scopo dello studio sperimentale è stato il confronto di due cementi ossei commerciali, l’uno standard e l’altro a bassa temperatura di polimerizzazione. Lo studio è stato eseguito su conigli, divisi in due gruppi, con impianti protesici femorali fissati con l’uno o l’altro cemento [37]. È stata osservata una differenza significativa tra le temperature massime di polimerizzazione misurate all’interfaccia osso-cemento nei 2 gruppi (42,8° ± 3,1° vs 51,5° ± 2,3°, p <0,01). L’esame istologico a bande fluorescenti effettuato nel periodo post-operatorio ha mostrato un ritardo nel rimodellamento osseo endostale al contatto con il cemento tradizionale. Questo ritardo variava dalle 3 alle 8 settimane rispetto ai campioni fissati con cemento a bassa temperatura di polimerizzazione (Fig. 2).
Fig. 2. L’esame istologico a bande fluorescenti effettuato nel periodo post-operatorio mostra un ritardo nel rimodellamento osseo endostale al contatto con il cemento tradizionale
Sistemi di veicolazione di farmaci L’impiego di antibiotici nel cemento osseo (polimetilmetacrilato-perle, spaziatori) e di sistemi biodegradabili è in crescita ed è complementare alla terapia corrente (“debridement” chirurgico e terapia sistemica antimicrobica) per il trattamento delle infezioni [38]. Gli aminoglicosidi (gentamicina, tobramicina) sono considerati gli antibiotici di scelta, grazie alle piccole dimensioni delle molecole, all’ampio spettro di attività antimicrobica, all’eccellente solubilità in acqua, alla stabilità chimica e termica, alla biocompatibilità, alla bassa allergenicità. Tuttavia, a causa della crescente resistenza batterica agli antibiotici, si è rinnovato l’interesse per l’aggiunta di ulteriori antibiotici (vancomicina, clindamicina, daptomicina,
ossazolidinoni, fluorochinoloni, peptidi ecc.) ai sistemi farmacologici a rilascio controllato [39,40]. La vancomicina possiede caratteristiche fisico-chimiche simili a quelle degli aminoglicosidi, con alcune limitazioni riguardanti la difficoltà del cemento di polimerizzare se utilizzata in dosi elevate e il ridotto periodo di rilascio [41]. Altri antibiotici sono stati aggiunti ai cementi ossei, ma con risultati non soddisfacenti in vitro ed in vivo. Il rilascio di altri antibiotici beta-lattamici (come penicilline, cefalosporine) è rapido, elevato, ma di durata limitata (48 ore), mentre la rifampicina mostra incompatibilità con il cemento acrilico (PMMA) e perdita dell’effetto antimicrobico [38]. La cinetica di rilascio dei vari farmaci è molto simile, con un picco iniziale seguito da una lunga coda di basso rilascio. L’associazione di aminoglicosidi e vancomicina ha mostrato un profilo bifasico, caratterizzato da un rilascio iniziale elevato e rapido del farmaco, seguito da uno più lento ma sostenuto. Il rilascio di gentamicina e vancomicina è rapido (la liberazione del farmaco dalle perle avviene entro pochi giorni) con concentrazioni inibitorie mantenute per 4-6 settimane [42,43]. Il cemento osseo PMMA è risultato essere un buon vettore per il rilascio prolungato di antibiotico nel sito di infezione. Gentamicina e vancomicina vengono rilasciati localmente in concentrazioni ancora efficaci da “spacer” rimossi dopo 3-6 mesi dall’impianto; la durata del rilascio dell’antibiotico è variabile [44,45]. La gentamicina resta presente per oltre 5-10 anni nel tessuto circostante l’impianto dello “spacer”, fornendo una protezione a lungo termine contro le infezioni ematogene [46]. Le concentrazioni variavano da 0,06 mg/l a 0,85 mg/l (13/25 pazienti), mentre solo a 1 paziente residuava infezione. I dati mostrano che la gentamicina resta presente a concentrazioni significative e in forma attiva all’interno del cemento per un certo numero di anni [47,48]. Spaziatori articolari preformati L’infezione è una delle più gravi complicanze negli interventi chi-
rurgici di sostituzione totale protesica [49]. L’osservazione di meticolose norme di asepsi in sala operatoria [50,51], l’applicazione di trattamenti antibiotici sistemici e locali, mediante la fissazione di impianti protesici con cemento antibiotato [52-54], hanno avuto un ruolo significativo nel ridurre i tassi di infezione negli ultimi decenni, con un’incidenza dello 0,5-3% nelle protesi primarie d’anca e ginocchio e un’incidenza superiore nel caso di protesi di revisione [49]. L’infezione cronica delle protesi articolari richiede la rimozione chirurgica dell’impianto, al fine di sradicare il processo infettivo [51,54]. La procedura di rimozione, pulizia e reimpianto protesico può essere effettuata nello stesso atto chirurgico (procedura “one-stage”) o in due atti separati (procedura “twostage”). Nel primo caso l’intervento prevede la rimozione del dispositivo infetto, la bonifica del sito (“debridement”) e l’impianto di una protesi di revisione fissata con cemento osseo antibiotato [55]. Nel secondo caso, la fase di reimpianto protesico viene posticipata di alcuni mesi (4-6) durante i quali uno spaziatore in cemento antibiotato viene posizionato nel sito protesico [56,57] con due funzioni: una funzione meccanica, per evitare l’accorciamento periarticolare del tessuto molle, mantenendo la corretta metria degli arti, e una funzione biologica, per mezzo del rilascio locale di antibiotico in concentrazioni efficaci [58]. La scelta della procedura dipende dall’approccio terapeutico del chirurgo, che è spesso determinato da valutazioni microbiologiche. Come detto, la procedura “twostage” prevede l’utilizzo di uno spaziatore di cemento antibiotato. Possiamo distinguere spaziatori non articolati (staticiblocco spaziatore) o articolati (mobili). Gli spaziatori statici mantengono la distanza articolare, ma non la funzione. Possono determinare accorciamento dei tessuti molli e portare a perdita ossea. Gli spaziatori dinamici mantengono la distanza, permettono una parziale funzione articolare e possono facilitare il secondo tempo chirurgico [49]. Gli spaziatori possono essere preparati in sala operatoria dall’ortopedico con l’ausilio o meno di stampi, oppure possono essere utilizzati spaziatori preformati. A differenza degli spaziatori preparati estemporaneamente in sala dal chirurgo, gli spaziatori preformati industriali presentano caratteristiche meccaniche e farmacologiche standardizzate di sicurezza ed efficacia [45,59-61]. Le caratteristiche meccaniche e funzionali di questi dispositivi permettono un certo grado di movimento articolare, la concessione del carico in casi selezionati e un rilascio prolungato di antibiotico nell’artico-
lazione interessata [62]. Gli spaziatori sono prodotti utilizzando la stessa tecnica e la stessa resina antibiotata, che presenta una concentrazione di gentamicina del 2,8% sulla polvere e dell’1,87% sulla resina (polvere + liquido). Lo spaziatore preformato d’anca, Spacer-G® (Tecres, Sommacampagna, VR) (Fig. 3), per esempio, presenta una struttura portante in acciaio inox AISI 316ESR. È disponibile in tre diversi diametri della testa (46, 54 e 60
Fig. 3. Spaziatore preformato d’anca Spacer-G® (Tecres, Sommacampagna, VR). È disponibile in tre diversi diametri della testa (46, 54 e 60 mm) e nella versione a stelo corto e stelo lungo
mm) e nella versione a stelo corto e stelo lungo. È disponibile anche la versione a stelo piatto (Spacer-G Flat Stem). Lo spaziatore di ginocchio, Spacer-K ® (Tecres, Sommacampagna, VR), è composto da due componenti (femorale e tibiale) che si articolano. È disponibile in tre taglie (piccola, media e grande). Lo spaziatore di spalla, Spacer-S® (Tecres, Sommacampagna, VR), presenta anch’esso una struttura portante in acciaio inox AISI 316ESR. È disponibile in due diversi diametri della testa (41 e 46 mm) nella sola versione a stelo corto. In una recente casistica riferita a 29 pazienti in cui il dispositivo è stato impiantato per un periodo medio di 155 giorni (“range” 70-272), associato a una terapia antibiotica specifica di 8 settimane, il reimpianto è stato effettuato in relazione al miglioramento evidente dei segni clinici e sierologici. La valutazione del paziente ha incluso lo “score” di Harris (HHS), la radiografia convenzionale e “marker” di laboratorio. A un follow-up medio di 52 mesi (“range” 36-100) l’eradicazione dell’infezione è stata ottenuta in 27/29 pazienti (93,1%). Cinque pazienti hanno richiesto un’artroplastica di resezione (2 per infezione persistente, 2 per “stock” osseo inadeguato, 1 per recidiva dell’infezione). In 4 casi si è avuta la dislocazione dello spaziatore, trattata con riduzione non chirurgica. I 24 pazienti reimpiantati non hanno mostrato segni di recidiva dell’infezione, con uno “score” di Harris (HHS) di 79 (“range” 53-100) e nessun segno di mobilizzazione [63]. Risultati simili in termine di funzione articolare ed eradicazione
Ortopedia Reumatologia
7
dell’infezione (superiori al 90%) sono stati pubblicati da molti centri internazionali, sia in relazione allo spaziatore d’anca [64-67] sia a quello di ginocchio [68, 69] e di spalla [70]. La procedura “two-stage” appare oggi la metodica di scelta nel trattamento delle infezioni croniche per la ripetibilità dei buoni risultati clinici e funzionali registrati in moltissimi centri internazionali [49]. La procedura “one-stage” richiede obbligatoriamente l’identificazione del patogeno e del suo antibiogramma e la disponibilità di antibiotici specifici da miscelare con il cemento. La scelta di uno spaziatore in PMMA industriale preformato riduce i tempi operatori, permette la deambulazione assistita, mantiene spazio e funzione articolare, favorendo il secondo tempo chirurgico. La standardizzazione delle prestazioni meccaniche e farmacologiche evita rischi meccanici legati alla rottura del dispositivo [71] e garantisce il mantenimento di una adeguata concentrazione locale di antibiotico, che partecipa all’eradicazione dell’infezione [59]. La lussazione del distanziatore preformato d’anca è l’unica complicanza osservata. Essa può essere causata dall’incongruenza tra la testa del dispositivo e la cavità acetabolare, dall’“offset” fisso, dall’instabilità rotazionale o dal difetto osseo acetabolare e/o femorale preesistente. Alcuni dispositivi sono oggi disponibili anche con la combinazione antibiotica gentamicinavancomicina (Vancogenx-Space Hip®, Tecres, Sommacampagna, VR). “Augmentation” Le fratture del terzo prossimale del femore hanno subito un importante incremento di incidenza negli ultimi anni nella popolazione mondiale, dovuto all’incremento della vita media della popolazione, associato a un aumento dell’aspettativa di vita del grande anziano [72]. L’età avanzata si correla direttamente a un incremento del grado di osteoporosi. Questi fattori, uniti a una minore coordinazione motoria e al diminuito grado di attenzione, hanno causato un incremento delle cadute, e traumi anche banali sulla superficie laterale del femore possono tradursi in una frattura. Le statistiche a nostra disposizione prevedono un’incidenza annua delle fratture del terzo prossimale di femore almeno doppia entro l’anno 2040 e individuano la donna in avanzata età post-menopausale come soggetto maggiormente colpito [73-75]. Queste lesioni sono spesso caratterizzate da comminuzione dei frammenti e instabilità, caratteristiche che rendono la scelta terapeutica una sfida per il chirurgo ortopedico che vi si deve cimentare. Tra le complicanze più frequenti dobbiamo ricordare il “cut-out” delle viti cefaliche in relazione a im-
pianti tecnicamente non corretti, in ossa particolarmente osteoporotiche o in situazioni di particolare instabilità biomeccanica. Il “cut-out”, complicanza ampliamente descritta in letteratura, presenta un’incidenza del 419% ed è responsabile di un oneroso tasso del 2-16% di reinterventi nei pazienti affetti da fratture pertrocanteriche [76–81]. Il miglioramento dei mezzi di sintesi negli ultimi anni non si è accompagnato al miglioramento della qualità dell’osso nell’anziano; al contrario, l’aumento costante dell’età media ha portato inesorabilmente a cimentarsi su lesioni caratterizzate da quadri di marcata osteoporosi. Il primo a utilizzare il cemento osseo per la fissazione interna delle fratture fu Harrington [82]. Più recentemente, alcuni studi in vitro e in vivo hanno testato l’utilizzo di cemento acrilico costituito da polimetilmetacrilato (PMMA) o calcio-fosfato come “augmentation”-supporto della sintesi interna di queste fratture [83,84]. L’ipotesi da verificare era che l’“augmentation”, ottenuta iniettando cemento osseo a livello dell’apice della o delle viti cervico-cefaliche, incrementasse la resistenza del mezzo di sintesi alle forze di taglio che si esercitano durante il carico, preservando l’impianto dalla complicanza del “cut-out”. Recenti studi biomeccanici in vitro su epifisi prossimale di femore di cadavere trattata con impianti tradizionali supportati da “augmentation” hanno evidenziato il 50% in meno di fallimenti della sintesi rispetto a impianti non cementati, suggerendo che il metodo dell’“augmentation” aumenti la tenuta dei mezzi di sintesi nelle ossa osteoporotiche [85-88]. Le corrette indicazioni all’utilizzo della tecnica dell’“augmentation” nelle fratture pertrocanteriche sono di cruciale importanza e sono pertanto limitate a una determinata tipologia di frattura e al paziente che la presenta. Fratture cosiddette stabili, come le 31 A1 e le 31 A2.1, secondo la classificazione AO e pazienti a basso grado di osteoporosi (Singh 3-5) non sono indicazioni per l’utilizzo di questa tecnica chirurgica in quanto la stabilità intrinseca della frattura ridotta correttamente e la buona qualità dell’osso rendono la sintesi interna sufficientemente stabile e sicura anche senza “augmentation”. La tecnica operatoria prevede, oltre ai convenzionali passaggi di riduzione il più possibile anatomica della frattura e di inchiodamento endomidollare, l’iniezione di 2-3 cc di cemento PMMA a livello dell’apice della o delle viti cervico-cefaliche per incrementare la resistenza dell’impianto alle forze di taglio durante il carico. I risultati clinici e strumentali ottenuti permettono di asserire che l’“augmentation”, nelle fratture pertrocanteriche instabili
dell’anziano osteoporotico, possa essere determinante nella soluzione del fenomeno del “cutout” e permetta una più rapida ripresa durante la fase riabilitativa per la possibilità di una precoce mobilizzazione del paziente [84]. A prezzo di un contenuto aumento iniziale dei costi, trascurabile se paragonato all’onere necessario nei casi di nuova ospedalizzazione e reintervento per fallimento dell’impianto, la tecnica dell’“augmentation” potrebbe rappresentare una valida soluzione nel trattamento di casi selezionati e aggiungersi come completamento di ogni strumentario.
Studi sperimentali Negli ultimi 20 anni lo studio sperimentale dei biomateriali (cemento osseo, biovetro, cementi additivati, cementi riassorbibili, spaziatori antibiotati) ha assunto una particolare rilevanza. Di seguito vengono presentati i lavori più significativi di questa esperienza ventennale. Sintesi endomidollare del processo riparativo con cemento osseo Scopo dello studio sperimentale [89] (durata 8 settimane) è stato valutare clinicamente, radiograficamente e istologicamente l’evoluzione riparativa di fratture sperimentali del femore di coniglio sottoposte a sintesi endomidollari con PMMA da solo o associato a infibulo metallico. Nel periodo post-operatorio è stata eseguita una sequenza di marcature con tre diversi coloranti (xilenolorange, calceina verde e tetraciclina) a tempi prestabiliti per valutare il rimodellamento osseo mediante osservazione istologica delle marcature fluorescenti ai raggi UV. Negli animali in cui la sintesi si è mantenuta stabile fino al termine dell’esperimento si è ottenuta la guarigione della frattura. L’esame radiografico ha permesso di verificare la presenza di un voluminoso callo periostale nei casi giunti a guarigione clinica. Tuttavia è stato anche verificata l’interposizione di PMMA che ha provocato l’inibizione del callo endostale e intercorticale. L’osservazione ai raggi UV ha dimostrato la ripresa del rimodellamento osseo all’interfaccia con il cemento. L’esame spettrofotometrico ha evidenziato la presenza di bande fluorescenti in tutti i campioni in prossimità del cemento. L’osservazione delle marcature ha permesso di datare l’inizio della neoformazione ossea tra la seconda e terza settimana in prossimità del focolaio di frattura. L’osservazione dell’interfaccia osso-cemento vicino al focolaio di frattura mostra un contatto molto stretto tra cemento e superficie ossea endostale, senza interposizione fibrosa. La presenza del cemento nel canale midollare non dà spazio a strutture midollari o va-
7
scolari residue o neoformate. L’osservazione delle marcature ha permesso di affermare che la ripresa del rimodellamento e della neoformazione ossea endostale a contatto con il cemento è presente sin dalla prima settimana in alcune aree. Il modello sperimentale non si è dimostrato adeguato a supportare l’opportunità di una sintesi della frattura mediante PMMA a causa del cedimento strutturale del materiale; tuttavia si è dimostrato che se la sintesi è stabile la guarigione della frattura avviene con formazione di callo periostale. Inoltre lo studio dell’interfaccia cemento-osso sul versante endostale a distanza dal focolaio di frattura conferma l’assenza o la minima entità della necrosi tissutale da ipertermia e le potenzialità rigenerative del tessuto osseo a contatto con cementi a bassa temperatura di polimerizzazione [89]. Cementi ossei bioattivi additivati Biovetro-PMMA È stato studiato un materiale composito, formato da cemento osseo a bassa temperatura di polimerizzazione e fibre di biovetro, con lo scopo di creare una superficie bioattiva in contatto con l’osso [90]. Il biovetro è un vetro osteoconduttivo e degradabile che viene sostituito all’interfaccia con il tessuto osseo neoformato da un sottile strato di gel [91-94]. L’aggiunta delle fibre di biovetro non altera le caratteristiche meccaniche del cemento composito. Con gli studi in vitro è stato possibile determinare gli effetti metabolici indotti su colture di fibroblasti dal contatto con il materiale in esame, mettendo a confronto colture di biovetro ottenute con tecnica plasma-spray e colture di controllo. Il composito PMMA-biovetro ha mostrato la capacità di riprodurre gli stessi effetti inibitori delle superfici in biovetro ottenute con tecnica plasma-spray sulla proliferazione dei fibroblasti e sull’indice metabolico. Fluoruro di sodio Il fluoruro di sodio è una sostanza che esercita una doppia azione sul tessuto osseo: un effetto biochimico dovuto all’unione con l’idrossiapatite della struttura minerale ossea [95-97], che gli conferisce migliori proprietà meccaniche e biochimiche data l’aumentata resistenza allo stimolo del paratormone [98100]; un effetto biologico dovuto all’attività diretta sugli osteoblasti con stimolazione della differenziazione e proliferazione [101] e conseguente aumento del volume delle trabecole ossee [94,97,101-103]. Un cemento osseo contenente fluoruro di sodio (concentrazione 6%) è stato creato per realizzare un sistema farmacologico a rilascio controllato locale (all’interfaccia con il tessuto osseo) e indurre i tipici effetti farmacologici che sono considerati utili
per la prevenzione del riassorbimento osseo periprotesico [104106]. Sono state testate le proprietà meccaniche e fisiche del cemento osseo acrilico e i suoi effetti sia su colture di cellule umane sia in modelli sperimentali animali (conigli). La caratterizzazione di laboratorio ha mostrato che il fluoruro viene liberato efficacemente dal cemento [106]. Le proprietà meccaniche statiche soddisfano gli standard inter nazionali ISO5833 e le proprietà dinamiche risultano adeguate [106,107]. Lo studio istologico dei campioni ottenuti a 4, 12 e 16 settimane dagli impianti protesici femorali fluoridati nel coniglio, rispetto a quelli con cemento standard a bassa temperatura, mostra una sequenza di nette e ben definite bande, senza alcuna diffusione agli strati circostanti. Queste bande sono indicative di tessuto osseo neo-formato, ben organizzato. Inoltre, la maggiore distanza tra le fasce, fino a 3 volte rispetto ai controlli, appare evidente, e rappresenterebbe il probabile risultato dell’attivazione degli osteoblasti e della maggiore produzione di matrice ossea [106]. Sono state inoltre studiate due tipologie di colture cellulari umane dopo esposizione al cemento fluorurato: i leucociti per lo studio di biotollerabilità e gli osteoblasti per la valutazione del “pattern” biologico. Colture di cellule leucocitarie umane esposte a cemento standard e con fluoro (test di biotollerabilità) Il rilascio di fluoro dai campioni di laboratorio (dischetti di cemento) ha mostrato la stessa cinetica di rilascio dei precedenti studi di laboratorio [106], con un picco iniziale seguito da un plateau: le concentrazioni a lungo termine si sono mantenute all’interno del “range” terapeutico locale previsto (10-3-10-4 concentrazione molare), come già riportato in letteratura [108]. Posto che la stabilità di un impianto dipende dalla capacità di un materiale di ridurre la reazione flogistica periprotesica, è stata misurata la liberazione di anione superossido nelle colture leucocitarie umane, come parametro indicativo della reattività dei materiali testati (Figg. 4, 5) [109]. In fase flogistica acuta il cemento acrilico si è dimostrato un materiale molto irritante al contatto con i leucociti polimorfonucleati. In fase cronica, simulata tramite l’esposizione a colture di macrofagi, il PMMA si è rivelato probabilmente meglio tollerato della ceramica [110,111]. I differenti tipi di cemento osseo non si comportano allo stesso modo, come si evince valutando le caratteristiche di alcuni cementi convenzionali commerciali comunemente usati (Fig. 6) e del cemento sperimentalmente
archivio di
Ortopedia e Reumatologia
8
Fig. 4. La liberazione di anione superossido nelle colture leucocitarie umane in vitro, come parametro indicativo della reattività dei materiali testati
Fig. 5. La liberazione di anione superossido nelle colture leucocitarie umane in vivo, come parametro indicativo della reattività dei materiali testati
Fig. 6. La liberazione di anione superossido in differenti tipi di cemento commerciale comunemente usati
supplementato con varie sostane, che mostrano comportamenti differenti (Fig. 7). Concludendo, il cemento fluorurato si è dimostrato in grado di ridurre la reattività dei leucociti senza indurre necrosi cellulare. Effetti del rilascio prolungato di fluoruro di sodio da cemento osseo su colture di osteoblasti adulti umani (test di bioattività) Il fluoruro addizionato al cemento ha dimostrato di possedere un’attività sul metabolismo dell’osso ricevente negli impianti protesici femorali sperimentali [106]. Tale cemento è stato utilizzato in studi clinici controllati a lungo termine sulla mobilizzazione delle protesi d’anca [104,105]. È stata valutata la tolleranza e l’attività di tale dispositivo nelle colture di cellule osteoblastiche umane adulte, con particolare attenzione alla reale disponibilità di fluoruro nel tempo di contatto con le superfici di cemento contenenti il composto addi-
tivato, e inoltre, definite le conseguenze della presenza di fluoruro sulla proliferazione e il metabolismo degli osteoblasti, monitorando i possibili effetti tossici immediati o a lungo termine. Studio di differenziazione degli osteoblasti Partendo da colture in vitro di osteoblasti umani, è stato condotto uno studio sui processi evolutivi e differenziativi che conducono la cellula osteoprogenitrice (staminale) allo stadio di osteoblasta maturo, attraverso una fase intermedia preosteoblastica. Sono stati esaminati gli effetti del contatto con un cemento standard commerciale, con lo stesso cemento additivato con fluoruro e con il materiale dei comuni pozzetti di coltura come controlli (Thermanox), sul comportamento proliferativo, sull’espressione fenotipica della fosfatasi alcalina in fase preosteoblastica, e dell’osteocalcina in fase matura, di cellule ossee nor-
Fig. 7. La liberazione di anione superossido in cementi supplementati con varie sostanze
mali umane isolate da frammenti bioptici scheletrici e coltivate in vitro. Thermanox: il contatto delle cellule ossee umane ha favorito nel corso dei primi 10 giorni di permanenza in vitro l’attività proliferativa delle cellule staminali indifferenziate senza indurre un aumento dell’espressione della fosfatasi alcalina. Cemento standard: le cellule hanno mostrato un comportamento in cui risulta notevolmente favorita l’attività proliferativa degli osteoblasti umani immaturi e di conseguenza anche l’espressione della fosfatasi alcalina da parte delle cellule post-mitotiche parzialmente differenziate. Cemento fluorurato: il contatto favorisce più tardivamente (cioè in modo deciso verso il 15° giorno) l’attività proliferativa e l’espressione della fosfatasi alcalina da parte delle cellule ossee. Lo stesso materiale stimola nei primi 10 giorni l’attività degli osteoblasti completamente differenziati già presenti nelle colture, come dimostrato dai livelli di osteocalcina che nello stesso periodo sono i più elevati. Il declino, tra il 10° e il 15° giorno, dei livelli di osteocalcina nel medium risulta una caratteristica comune di tutte le colture testate; tale riscontro potrebbe essere ascritto a meccanismi diversi: • un’assenza dal medium di crescita di qualche fattore che, nel lungo termine, sarebbe essenziale per la sopravvivenza e/o il buon funzionamento degli osteoblasti maturi • una deposizione di osteocalcina nella matrice osteoide in corso di calcificazione. Poiché il cemento additivato con fluoro rilascia in soluzione una quantità consistente di ioni fluoruro, è stato effettuato un ulteriore esperimento al fine di escludere una possibile inibizione della proliferazione esercitata da tali ioni. I risultati hanno dimostrato che la coltivazione delle cellule ossee in presenza di dosi elevate di ioni fluoruro (fino a 10-2 molare) non influisce sulla loro crescita numerica. Nuovi cementi porosi biocompatibili La porosità dei cementi ha notevoli ripercussioni sulle prestazioni meccaniche del materiale. La struttura polimerizzata del
PMMA contiene pori di varia grandezza, distribuzione e numero, che agiscono indebolendo la struttura e le proprietà meccaniche del cemento. Nel 1976, Debrunner [112] descrisse la forma, la distribuzione e la modalità di formazione dei pori nel cemento. Oggi è noto che nel cemento acrilico si possono distinguere macropori (diametro maggiore di 100 m) e micropori (diametro compreso 10 e 100 m). I pori si formano per intrappolamento di aria [113] che è già presente nel monomero o nel polimero o che si forma durante le varie fasi di lavorazione, dalla preparazione all’inserimento del cemento. Secondo queste osservazioni, gli effetti delle miscelazioni sulla porosità del cemento devono essere attentamente esaminati, dato che vi è un consenso unanime che la riduzione della porosità porta a un miglioramento delle caratteristiche meccaniche del PMMA. La pressione di introduzione del cemento è importante, ma non riduce di molto la porosità. È stato inoltre dimostrato che la porosità è in diretta relazione anche con la temperatura di polimerizzazione [114]. Se consideriamo la possibilità di cementi riassorbibili, è opportuno ben distinguere la macroporosità, che viene indotta volontariamente e da cui dipende il passaggio di cellule e il tempo di riassorbimento del cemento, dalla microporosità che condiziona, come già detto, la resistenza meccanica. Se da un lato è preferibile non avere micropori (ceramici “densi”), dall’altro i macropori, di diametro compreso tra 100 e 700 m, aumentano il riassorbimento passivo. La macroporosità può essere creata con vari metodi, anche semplicemente forando con una punta il materiale ceramico solido. Di solito si aggiungono nella polvere cristalli solubili e non tossici come zuccheri o mannitolo; questi cristalli dopo l’indurimento del materiale si sciolgono nell’acqua per lasciare posto ai pori [115]. Sono stati usati anche gas schiumogeni come il perossido di idrogeno, composti idrorepellenti come l’olio e molti altri [116] tra cui anche il NaHCO3 [117]. La porosità è dipendente dalla microstruttura del materiale e dalle sue proprietà.
Il cemento ideale per la sostituzione dell’osso dovrebbe avere una struttura simil-trabecolare, densa ma nello stesso tempo macroporosa. L’obiettivo delle sperimentazioni condotte è stato la valutazione della biocompatibilità e delle capacità osteoconduttive di un nuovo cemento osseo acrilico iniettabile, chiamato Porosectan. Si tratta di sperimentazioni in vivo che hanno previsto l’utilizzo di cavie animali. Per quanto riguarda i cementi ossei, oltre al nuovo cemento acrilico Porosectan, per controllo è stato usato il tradizionale cemento acrilico. Entrambi i cementi sono definiti come cementi acrilici in cui la miscelazione, l’impasto e il metodo di estrusione sono simili. Le differenze principali si riscontrano nei componenti chimici che costituiscono la polvere. Nel Porosectan si nota la presenza di un composto fosfocalcico (CaP), nello specifico un tricalciofosfato (β-TCP). Il βTCP è un composto riassorbibile con “CaP rate” = 1,5: la sua velocità di riassorbimento corrisponde circa a quella di neoformazione ossea. Riguardo alle caratteristiche meccaniche, il Porosectan ha un modulo elastico tre volte inferiore rispetto al cemento convenzionale, il che denota una maggiore elasticità del materiale. Ciò determina ai fini pratici una miglior ridistribuzione dei carichi all’interfaccia, e quindi una maggior durata dell’impianto. Inoltre notiamo la buona resistenza meccanica a compressione, che aumenterà se la parte porosa del Porosectan sarà sostituita da osso neoformato. Questo materiale presenta una microstruttura macroporosa che si riflette su un aumento dell’adsorbimento capillare, molto superiore (di quasi 7 volte) a quello di un normale cemento acrilico. La reazione di polimerizzazione avviene a temperature molto più basse nel Porosectan. La metodologia operativa nel coniglio è stata uguale per entrambi i cementi, in modo da ridurre le variabili che avrebbero potuto influenzare il risultato finale. Dopo 8 settimane gli animali sono stati sacrificati tramite eutanasia farmacologica. Entrambi i femori sono stati prelevati e preparati per valutare la biocompatibilità e le capacità osteoinduttive del cemento sperimentato. Abbiamo considerato la salute dell’animale nel periodo di osservazione e le caratteristiche del cemento, valutando la radiografia di entrambi i femori, l’immagine al microscopio elettronico a scansione (SEM) e l’esame istologico. Il cemento è stato sottoposto a un’analisi strutturale mediante SEM. La superficie del Porosectan si presenta molto porosa e dall’aspetto filamentoso, con volumi interconnessi e presenza di numerosi microrilievi, cavità e pori. Il diametro medio dei micropori varia da 10 a 15 μm,
archivio di
Ortopedia e Reumatologia quello dei macropori da 100 a 250 μm, situazione abbastanza simile all’osso spongioso in cui le trabecole sono distanziate tra loro di circa 200-300 μm. Al contrario, la superficie del cemento tradizionale si presenta compatta, prevalentemente liscia e con rara presenza di pori. L’analisi istologica dei campioni ha consentito anzitutto di distinguere sulla base della loro densità il cemento tradizionale dal nuovo cemento Porosectan, in quanto il primo ha una struttura complessivamente assai più densa e omogenea, il secondo invece più disomogenea e irregolare. Nelle sezioni praticate a livello distale del condilo femorale, dove le trabecole di osso spongioso sono più numerose e addensate, in entrambi i cementi il contorno del foro eseguito chirurgicamente appare sempre ben definibile: a questo livello, il cemento appare circondato in modo abbastanza regolare e ben delineato da trabecole a decorso circolare anziché radiale, il che fa desumere che si tratti di trabecole di tessuto osseo e fibroso neoformatosi attorno al cemento. Nel campioni dove è stato usato il Porosectan, si notano alcune trabecole di osso e zaffi di tessuto connettivo neoformati che penetrano in alcune porosità superficiali del cemento. L’osteoconduttività del nuovo cemento, data dalla sua struttura macroporosa aperta, permette alle cellule ossee e ai vasi di colonizzare il “gap” osseo lasciato dal riassorbimento del -TCP a opera degli osteoclasti e agli osteoblasti di rigenerare tessuto osseo in maniera omogenea su tutto il cemento. Al contrario, nei campioni dove è stato usato il cemento tradizionale non si riscontrano proliferazioni di osso o connettivo che penetrano nel cemento, probabilmente per la maggiore densità di quest’ultimo. Ciò è confermato dal fatto che, quando vi si formano casualmente microfessure, queste vengono invase dai tessuti circostanti. Va rilevato che il Porosectan non sempre presenta porosità superficiali e pertanto in queste sedi l’osso circostante si comporta come attorno al controllo, cioè non penetra nel cemento. Probabilmente questo è dovuto alla maggior densità in queste aree di PMMA che non si è amalgamato bene durante da mescola del cemento. In entrambi i campioni analizzati, in generale, non si evidenzia una significativa risposta infiammatoria, necrosi o fibrosi del tessuto osseo circostante, che si presenta vitale. La tossicità del nuovo cemento è paragonabile al tradizionale, che è tuttora di uso comune. I risultati delle radiografie rapportati alle immagini del SEM confermano la porosità a volumi interconnessi del cemento. Le dimensioni dei macropori evidenziabili nel Porosectan (100-
250 μm) sono molto simili ai pori che si ritrovano nell’osso spongioso, dove lo spazio tra le trabecole è di circa 200-300 μm, dimensione più che sufficiente per la penetrazione di cellule come gli osteoblasti. La porosità del Porosectan è una macroporosità [112], indotta artificialmente, completamente aperta all’esterno. Permette, tramite il passaggio di fluidi biologici all’interno del cemento, il riassorbimento passivo e la fuoriuscita della parte solubile del materiale, determinata dal -TCP. La macroporosità del Porosectan rende inoltre il cemento osteoconduttivo. Il -TCP incluso potrebbe avere un effetto sinergico ed essere responsabile di un ulteriore aumento dell’osteoconduzione determinato dalla creazione di nuovi spazi per dissoluzione del calciofosfato. La liberazione di ioni calcio e fosforo determina un effetto osteoinduttivo [118-120]: infatti la macroporosità del Porosectan non è da sola in grado di determinare la capacità osteoinduttiva del cemento, ma è necessario che il -TCP sia riassorbito dagli osteoclasti [121]. La difficoltà delle cellule ossee di penetrare nel “core” del cemento e la neoformazione di trabecole ossee in superficie riducono gli spazi vuoti e ostacolano quindi l’osteoconduttività e il riassorbimento nella parte centrale. L’aumento della superficie di contatto, per aumento della porosità, e la formazione a livello dell’interfaccia osso-cemento di trabecole ossee neoformate con zaffi di tessuto connettivo che si approfondiscono nella parte superficiale del cemento dimostrano l’ottima osteointegrazione del cemento all’interfaccia. Questa, unita al basso modulo elastico del Porosectan, genera potenziali vantaggi in termini di minor usura e maggior elasticità e resistenza dinamica alla fatica e agli urti. Gli sviluppi della ricerca hanno portato ad approfondire gli studi di biocompatibilità e osteconduttività di questo cemento. È stata effettuata una ulteriore sperimentazione in vivo che ha previsto l’utilizzo di 12 cavie animali e di 3 tipi di cemento diversi: Porosectan I (PMMA + TCP in polvere), Porosectan II (PMMA + -TCP in polvere e granuli) e controllo, tutti in campioni cilindrici di 6 x 12 mm inseriti nel femore previa perforazione corticale. Gli animali sono stati sacrificati a coppie dopo 1, 2, 3, 6, 9 e 12 mesi. Le valutazioni sono state eseguite sulla base di prelievi ematici, immagini radiografiche, campioni istologici analizzati al SEM e, dopo colorazione, al microscopio elettronico. L’iter preparativo dei campioni e le successive valutazioni sono gli stessi della precedente sperimentazione. I risultati hanno dimostrato una completa biocompatibilità: le cavie infatti sono sopravvissute tut-
te sia all’intervento sia al followup e non si sono evidenziati segni di tossicità locale o sistemica. Il cemento non ha provocato nelle cavie alcuna reazione da corpo estraneo e all’esame istologico non sono state evidenziate aree di necrosi, infiammazione o fibrosi. A differenza del cemento tradizionale, il Porosectan I (preparazione in polvere) si presenta macroscopicamente poroso (100-250 μm), ma in grado minore rispetto al Porosectan II (preparazione in polvere e granuli) con pori fino a 500 μm. Questo determina i diversi comportamenti dell’innesto all’interno dell’osso, in particolare del Porosectan II che viene letteralmente invaso da tessuto osseo formante vere e proprie lacune. Questo è dovuto alla peculiare macrostruttura aperta e al fatto che i granuli, assieme alla polvere, formano una struttura “ideale”, simile all’osso spongioso, che si presta all’invasione di cellule ossee, richiamate dal tessuto circostante probabilmente grazie alla liberazione di ioni Ca e P a seguito del riassorbimento di TCP (osteoinduzione). Non solo, la presenza di cellule vitali nel cemento sottolinea la formazione di vasi e quindi la neoangiogenesi. Questo, unito alla macrostruttura aperta, indicherebbe l’osteoconduzione del cemento. Il Porosectan I non mostra una struttura idonea alla neoformazione di cellule ossee, anche se migliore del controllo che si è mostrato solo un buon riempitivo. Infatti nei preparati contenenti Porosectan I si osserva la creazione all’interno del cemento di un reticolo di microcavità che viene rapidamente invaso nei primi 2 mesi da materiale organico di natura fibrinoide. Questo quadro non evolve nei mesi successivi, probabilmente per l’incapacità del reticolo interno di ospitare strutture vascolari e connettivali in grado di permettere la generazione di aree tissutali all’interno del polimero. Il controllo agisce solo da riempitivo all’interno della cavità ottenuta dalla perforazione, senza modificazioni di rilievo nell’arco dei 12 mesi.
9
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
Bibliografia 20. 1. Röhm O (1901) On the polymerization products of acrylic acid [dissertation]. Tübingen, Germany, University of Tübingen 2. Kuehn KD, Ege W, Gopp U (2005) Acrylic bone cements: Composition and properties. Orthop Clin North Am 36:1728 3. Judet J, Judet R (1950) The use of an artificial femoral head for arthroplasty of the hip joint. J Bone Joint Surg Br 32:166-173 4. Kiaer S (1951) Experimental investigation of the tissue reaction to acrylic plastiques. 5th International Congress of Orthopaedic Surgery, Stockolm 5. Haboush EJ (1953) A new ope-
21.
22.
23.
24.
ration for arthroplasty of the hip based on biomechanics, photoelasticity, fastsetting dental acrylic, and other considerations. Bull Hosp Joint Dis 14:242-277 Charnley J (1964) The bonding of prostheses to bone by cement. J Bone Joint Surg Br 46:518-529 Lewis G (2008) Alternative acrylic bone cement formulations for cemented arthroplasties: Present status, key issues, and future prospects. J Biomed Mater Res B Appl Biomater 84:301-319 Haas SS, Brauer GM, Dickson G (1975) A characterization of polymethylmethacrylate bone cement. J Bone Joint Surg Am 57:380-391 Webb JC, Spencer RF (2007) The role of polymethylmethacrylate bone cement in modern orthopaedic surgery. J Bone Joint Surg Br 89:851-857 Goodman S (2005) Wear particulate and osteolysis. Orthop Clin North Am 36:41-48 Crowninshield R (2001) Femoral hip implant fixation within bone cement. Operative Techniques in Orthopaedics 11:296299 Swedish Hip Arthroplasty Register. http://www.shpr.se/en/default.aspx The Norwegian Arthroplasty Register. http://nrlweb.ihelse.net/eng/default.htm Verdonschot N, Huiskes R (1998) Surface roughness of debonded straight-tapered stems in cemented THA reduces subsidence but not cement damage. Biomaterials 19:1773-1779 Weightman B, Freeman MA, Revell PA et al (1982) The mechanical properties of cement and loosening of the femoral component of hip replacements. J Bone Joint Surg Br 69:558564 Shah N, Porter M (2005) Evolution of cemented stems. Orthopedics 28[8 Suppl.]:819-825 Fottner A, Utzschneider S, Mazoochian F et al (2010) Cementing techniques in hip arthroplasty: an overview. Z Orthop Unfall 148:168-173 Geiger MH, Keating EM, Ritter MA et al (2001) The clinical significance of vacuum mixing bone cement. Clin Orthop 382:258-266 Hirose S, Otsuka H, Morishima T, Sato K (2012) Outcomes of Charnley total hip arthroplasty using improved cementing with so-called second- and third-generation techniques. J Orthop Sci 17:118-123 Franchin F (2003). La protesi d’anca di primo impianto. Springer-Verlag Italia, Milano Mulroy W, Estok D, Harris W (1995) Total hip arthroplasty with use of so-called secondgeneration cementing techniques. J Bone Joint Surg Am 77:1845-1852 Mirza S, Dunlop D, Panesar S et al (2010) Basic science considerations in primary total hip replacement arthroplasty. Open Orthop J 4:169-180 Spetzger U, Vougioukas V, Schipper J (2010) Materials and techniques for osseous skull reconstruction. Minim Invasive Ther Allied Technol 19:110-121 Galibert P, Deramond H, Rosat P, Le Gars D (1981) Preliminary
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.
33.
34.
35.
36.
37.
38.
39.
40.
note on the treatment of vertebral angioma by percutaneous acrylic vertebroplasty. Neurochirurgie 33:166-168 McGraw JK, Lippert JA, Minkus KD et al (2002) Prospective evaluation of pain relief in 100 patients undergoing percutaneous vertebroplasty: results and follow-up. J Vasc Interv Radiol 13:883-886 Truumees E, Hilibrand A, Vaccaro AR (2004) Percutaneous vertebral augmentation. Spine J 4:218-229 Gheduzzi S, Webb JJ, Miles AW (2006) Mechanical characterisation of three percutaneous vertebroplasty biomaterials. J Mater Sci Mater Med 17:421426 Nussbaum DA, Gailloud P, Murphy K (2004) The chemistry of acrylic bone cements and implications for clinical use in image-guided therapy. J Vasc Interv Radiol 15:121-126 Mathis JM, Wong W (2003) Percutaneous vertebroplasty: technical considerations. J Vasc Interv Radiol 14:953-960 Belkoff SM, Sanders JC, Jasper LE (2002) The effect of the monomer-to-powder ratio on the material properties of acrylic bone cement. J Biomed Mater Res 63:396-399 Hurley MC, Kaakaji R, Dabus G et al (2009) Percutaneous vertebroplasty. Neurosurg Clin N Am 20:341-359 Hardouin P, Fayada P, Leclet H, Chopin D (2002) Kyphoplasty. Joint Bone Spine 69:256-261 Taylor RS, Taylor RJ, Fritzell P (2006) Balloon kyphoplasty and vertebroplasty for vertebral compression fractures: a comparative systematic review of efficacy and safety. Spine 31:2747-2755 Girotti A (1992) Determination of compression principles for Cemex bone cement. External report 12.3. Dipartimento di Meccanica, Politecnico di Milano Huiskes R, Verdonschot N, Ten Have M (2005) The fatigue behaviour of Cemex and CMW cement types. External report N VI.02.97.05. Katholieke Universiteit Nijmegen, Netherlands Magnan B, Regis D, Bartolozzi P (2000) The goal for bioactive bone cement (Cemex Fluor) for orthopaedic applications. Atti del Congresso Cementi ossei nell’anno 2000. Attualità e prospettive. Varese, 7 aprile 2000:141-144 De Bastiani G, Gabbi C, Magnan B et al (1990) Studio sperimentale dell’interfaccia cemento-osso: effetto del calore di polimerizzazione. Biomateriali 4:85-93 Joseph TN, Chen AL, Di Cesare PE (2003) Use of antibioticimpregnated cement in total joint arthroplasty. J Am Acad Orthop Surg 11:38-47 Hall EW, Rouse MS, Jacofsky DJ et al (2004) Release of daptomycin from polymethylmetacrylate beads in a continuous flow chamber. Diagn Microbiol Infect Dis 50:261-265 Neut D, de Groot EP, Kowalski RS et al (2005) Gentamicin-loaded bone cement with clindamycin or fusidic acid added: biofilmformation and antibiotic release. J Biomed Mater Res A 73:165-170
archivio di
Ortopedia e Reumatologia
10
41. Chohfi M, Langlais F, Fourastier J et al (1998). Pharmacokinetics, uses, and limitations of vancomycin-loaded bone cement. Int Orthop 22:171-177 42. Klemm K (2001) The use of antibiotic-containing bead chains in the treatment of chronic bone infections. Clin Microbiol Infect 7:28-31 43. Masri BA, Duncan CP, Beauchamp CP (1998) Long-term elution of antibiotics from bonecement: an in vivo study using the prosthesis of antibiotic-loaded acrylic cement (PROSTALAC) system. J Arthroplasty 13:331-338 44. Anagnostakos K, Kelm J, Regitz T et al (2005) In vitro evaluation of antibiotic release fromand bacteria growth inhibition by antibiotic-loaded acrylic bone cement spacers. J Biomed Mater Res B Appl Biomater 72:373378 45. Bertazzoni Minelli E, Benini A, Magnan B, Bartolozzi P (2004) Release of gentamicin and vancomycin from temporary human hip spacers in two-stage revision of infected arthroplasty. J Antimicrob Chemother 53:329-334 46. Wahlig H, Dingeldein E (1980) Antibiotic and bone cements. Experimental and clinical longterm observations. Acta Orthop Scand 51:49-56 47. Fletcher MA, Spencer RF, Langkamer VG et al (2004) Gentamicin concentrations in diagnostic aspirates from 25 patients with hip and knee arthroplasties. Acta Orthop Scand 75:173-176 48. Powles JW, Spencer RF, Lovering AM (1998) Gentamicin release from old cement during revision hip arthroplasty. J Bone Joint Surg Br 80:607-610 49. Cui Q, Mihalko WM, Shields JS et al (2007) Antibiotic-impregnated cement spacers for the treatment of infection associated with total hip or knee arthroplasty. J Bone Joint Surg Am 89:871-882 50. Duncan CP, Masri BA (1994) The role of antibiotic-loaded cement in the treatment of an infection after a hip replacement. J Bone Joint Surg Am 76:17421751 51. Fitzgerald RH Jr (1995) Infected total hip arthroplasty: diagnosis and treatment. J Am Acad Orthop Surg 3:294-262 52. Hanssen AD, Rand JA (1998) Evaluation and treatment of infection at the site of total hip or knee arthroplasty. J Bone Joint Surg Am 80:910-922 53. Sanzen L, Carlsson AS (1989) The diagnostic value of C-reactive protein in infected protein in infected total hip arthroplasties J Bone Joint Surg Br 71:638-641 54. Tsukayama DT, Estrada R, Gustilo RB (1996) Infection after total hip arthroplasty. A study of the treatment of one hundred and six infections. J Bone Joint Surg Am 78:512-523 55. Callaghan JJ, Katz RP, Johnston RC (1999) One-stage revision surgery of the infected hip. A minimum 10-year followup study. Clin Orthop 369:139-143 56. Ivarsson I, Wahlström O, Djerf K, Jacobsson SA (1994) Revision of infected hip replace-
ment. Two-stage procedure with a temporary gentamicin spacer. Acta Orthop Scand 65:7-8 57. Wilde AH, Ruth JT (1988) Twostage reimplantation in infected total knee arthroplasty. Clin Orthop 236:23-35 58. Buchholz HW, Elson RA, Engelbrecht E et al (1981) Management of deep infection of total hip replacement. J Bone Joint Surg Br 63:342-353 59. Mutimer J, Gillespie G, Lovering AM, Porteous AJ (2009) Measurements of in vivo intraarticular gentamicin levels from antibiotic loaded articulating spacers in revision total knee replacement. Knee 16:39-41 60. Baleani M, Traina F, Toni A (2003) The mechanical behaviour of a preformed hip spacer. Hip Int 13:159-162 61. Villa T, Carnelli D (2007) Experimental evaluation of the biomechanical performances of a PMMA-based knee spacer. Knee 14:145-153 62. Meani E, Romanò C, Crosby L, Hofmann G (2007) Infection and local treatment in orthopedic surgery. Springer-Verlag, Berlin Heidelberg New York 63. Magnan B, Regis D, Sandri A et al (2008) Antibiotic-loaded preformed PMMA spacer for twostage revision of infected THR. Proceedings to SIOT 2008, Rome 64. Romanò CL, Romanò D, Albisetti A et al (2012) Preformed antibiotic-loaded cement spacers for two-stage revision of infected total hip arthroplasty. Long-term results. Hip Int 22[Suppl. 8]:46-53 65. Neumann DR, Hofstaedter T, List C, Dorn U (2011) Two-stage cementless revision of late total hip arthroplasty infection using a premanufactured spacer. J Arthroplasty 27:1397-1401 66. Degen RM, Davey JR, Davey JR et al (2012) Does a prefabricated gentamicin-impregnated, load-bearing spacer control periprosthetic hip infection? Clin Orthop 470:2724-2729 67. Pattyn C, De Geest T, Ackerman P, Audenaert E (2011) Preformed gentamicin spacers in two-stage revision hip arthroplasty: functional results and complications. Int Orthop 35:1471-1476 68. Pitto RP, Castelli CC, Ferrari R, Munro J (2005) Pre-formed articulating knee spacer in twostage revision for the infected TKA. Int Orthop 29:305-308 69. Wan Z, Momaya A, Karim A et al (2012) Preformed articulating knee spacers in 2-stage total knee revision arthroplasty. Minimum 2-year follow-up. J Arthroplasty 27:1469-1473 70. Coffey MJ, Ely EE, Crosby LA (2010) Treatment of glenohumeral sepsis with a commercially produced antibiotic-impregnated cement spacer. J Shoulder Elbow Surg 19:868873 71. Anagnostakos K, Jung J, Schmid NV et al (2009) Mechanical complications and reconstruction strategies at the site of hip spacer implantation. Int J Med Sci 6:274-279 72. Rapado A, Lopez E (1994) La fractura de cadera. Impacto asistencial y socioeconomico. In: Rapado A, Guillén F (Eds.)
Osteoporosis y caidas en el anciano. Fahoemo, Barcelona:7391 73. Giannoudis PV, Schneider E (2006) Principles of fixation in osteoporotic fractures. J Bone Joint Surg br 88:1272-1278 74. Holroyd C, Cooper C, Dennison E (2008) Epidemiology of osteoporosis. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 22:671-685 75. Eriksson F, Mattsson P, Larsson S (2002) The effect of augmentation with resorbable or conventional bone cement on the holding strength for femoral neck fracture devices. J Orthop Trauma 16:302-310 76. Anglen JO, Weinstein JN (2008) Nail or plate fixation of intertrochanteric hip fractures: changing pattern of practice. A review of the American board of orthopaedic surgery database. J Bone Joint Surg Am 90:700707 77. Mattsson P, Larsson S (2003) Stability of internally fixed femoral neck fractures augmented with resorbable cement. A prospective randomized study using radiostereometry. Scand J Surg 92:215-219 78. Mattsson P, Larsson S (2004) Unstable trochanteric fractures augmented with calcium phosphate cement. A prospective randomized study using radiostereometry to measure fracture stability. Scand J Surg 93:223228 79. Mattsson P, Alberts A, Dahlberg G et al (2005) Resorbable cement for the augmentation of internally-fixed unstable trochanteric fractures. A prospective, randomised multicentre study. J Bone Joint Surg Br 87:1203-1209 80. Parker MJ (1993) Valgus reduction of trochanteric fractures. Injury 24:313-316 81. Simpson AH, Varty K, Dodd CA (1989) Sliding hip screws: modes of failure. Injury 20:227231 82. Harrington KD (1975) The use of methylmethacrylate as an adjunct in the internal fixation of unstable comminuted intertrochanteric fractures in osteoporotic patients. J Bone Joint Surg Am 57:744-750 83. Kammerlander C, Gebhard F, Meier C et al (2011) Standardised cement augmentation of the PFNA using a perforated blade: A new technique and preliminary clinical results. A prospective multicentre trial. Injury 42:1484-1490 84. Dall’Oca C, Maluta T, Moscolo A et al (2010) Cement augmentation of intertrochanteric fractures stabilised with intramedullary nailing. Injury 41:1150-1155 85. Heini PF, Franz T, Fankhauser C et al (2004) Femoroplasty-augmentation of mechanical properties in the osteoporotic proximal femur: a biomechanical investigation of PMMA reinforcement in cadaver bones. Clin Biomech 19:506-512 86. Lau HK, Lee PC, Tang SC et al (1983) Treatment of communited trochanteric femoral fractures with Dimon Hugston displacement fixation and acrylic cement. Injury 15:129-135 87. Linder P, Gisep A, Boner V et al (2006) Biomechanical evalua-
88.
89.
90.
91.
92.
93.
94.
95.
96.
97.
98.
99.
100.
101.
102.
103.
104.
tion of a new Augmentation method for enhanced screw fixation in osteoporotic proximal femoral fractures. J Orthop Res 24:2230-2237 Linder T, Kanakaris NK, Marx B et al (2009) Fractures of the hip and osteoporosis. J Bone Joint Surg br 91:294-303 Magnan B, Gabbi C, Reggi D et al (1993) La sintesi endomidollare di fratture con polimetilmetacrilato di metile: studio sperimentale del processo riparativo. Biomateriali 1/2:21-28 Magnan B, Gabbi C, Pagliara T et al (1996) Un nuovo cemento acrilico composito addizionato con fibre di biovetro: studio sperimentale degli effetti biologici in colture cellulari. Biomateriali 1/2:35-42 Ducheyne P, Hench LL, Kagan A 2nd et al (1980) Effect of hydroxyapatite impregnation on skeletal bonding of porous coated implants. J Biomed Mater Res 14: 225-237 Gabbi C, Locardi B, Barbon F et al (1985) Biocompatibilità e caratteristiche osteogeniche dei biovetri. Riv Staz Sper Vetro 5:213-216 Gross U, Strunz V (1985) The interface of various glasses and glass ceramics with a bony implantation bed. J Biomed Mater Res 19:251-271 Hench LL, Paschall HA (1973) Direct chemical bond of bioactive glass-ceramic materials to bone and muscle. J Biomed Mater Res 7:25-42 Eanes ED, Reddi AH (1979) The effect of fluoride on bone mineral apatite. Metab Bone Dis 2:3-10 Larsen MJ, Thorsen A (1984) A comparison of some effects of fluoride on apatite formation in vitro and in vivo. Calcif Tissue Int 36:690-696 Rich C, Feist E (1970) The action of fluoride in bone. In: Vischer TL (Ed.) Fluoride in medicine. Hans Huber, Bern:7087 Baud CA, Buchs M (1965) Étude par diffraction des rayons X de la substance minérale de l’os et de l’émail dentaire fluorés in vivo. In: Stack MV, Fearnhead RW (Eds.) Tooth enamel. Wright, Bristol:32-35 Posner AS, Eanes ED, Harper RA, Zipkin I (1963) X-ray diffraction analysis of the effect of fluoride on human bone apatite. Arch Oral Biol 8:549-570 Rich C, Ensinck J (1961) Effect of sodium fluoride on calcium metabolism of human beings. Nature 191:184 Baud CA, Very JM, Courvoisier B (1988) Biophysical study of bone mineral in biopsies of osteoporotic patients before and after long-term treatment with fluoride. Bone 9:361-365 Eriksen EF, Mosekilde L, Melsen F (1985) Effect of sodium fluoride, calcium, phosphate, and vitamin D2 on trabecular bone balance and remodeling in osteoporotics. Bone 6:381-389 Vigorita VJ, Suda MK (1983) The microscopic morphology of fluoride-induced bone. Clin Orthop 177:274-282 Digas G, Kärrholm J, Thanner J (2006) Different loss of BMD using uncemented press-fit and whole polyethylene cups fixed
105.
106.
107.
108.
109.
110.
111.
112.
113.
114.
115.
116.
117.
118.
119.
120.
121.
with cement: repeated DXA studies in 96 hips randomized to 3 types of fixation. Acta Orthop 77:218-226 Digas G, Thanner J, Anderberg C, Kärrholm J (2005) Fluoridecontaining acrylic bone cement in total hip arthroplasty. Randomized evaluation of 97 stems using radiostereometry and dual-energy x-ray absorptiometry. J Arthroplasty 20:784792 Magnan B, Gabbi C, Regis D (1994) Sodium fluoride sustained-release bone cement: an experimental study in vitro and in vivo. Acta Orthop Belg 60:72-80 Minari C, Baleani M, Cristofolini L, Baruffaldi F (2001) The effect on the fatigue strength of bone cement of adding sodium fluoride. Proc Inst Mech Eng H 215:251-253 Gerster JC, Charhon SA, Jaeger P et al (1983) Bilateral fractures of femoral neck in patients with moderate renal failure receiving fluoride for spinal osteoporosis. BMJ 287:723-725 Kossovsky N, Kazuko L, Millet D et al (1991) Periprosthetic chronic inflammation characterized through the measurement of superoxide anion production by sinovial-derived macrophages. Clin Orthop 263:263-271 Bragantini A, Castaldi G, Marcer M et al (1984) Interazione fra leucociti e detriti di usura di impianti protesici “in vitro”. Atti SERTOT 26:291-295 Castaldi G, Bragantini A et al (1984) Il cemento. Nota di storia, tecnica e biocompatibilità. Atti SERTOT 26:243-247 Debrunner HU (1976) Untersuchungen zur Porositaet von Knochenzementen. Arch Orthop Unfall-Chir 86:261-268 Kummer FJ (1987) Ottimizzazione della tecnica di miscelazione del cemento osseo. In: Pipino F (Ed.) Il punto su: la cementazione degli impianti protesici. O.M. Press, Firenze:6976 Lewis G (1997) Properties of acrylic bone cement: state of the art review. J Biomed Mater Res 38:155-182 Sawamura T, Hattori M, Okuyama M, Kondo K (2004) Effects of polysaccharides addition in calcium phosphate cement. Key Eng Mater 2546:209-212 Xu HH, Burguera EF, Carey LE (2007) Strong, macroporous and in situ-setting calcium phosphate cement-layered structures. Biomaterials 28:3786-3796 Jebsen KJ (2001) Observations of damage in bone. In: Cowin SC (Ed.) The bone mechanics handbook, 2nd Edn. CRC Press, Boca Raton Moody WL (1941) Severe reaction from acrylic liquid. Dent Dig 47:305 Albrektsson T, Johansson C (2001) Osteoinduction, osteoconduction and osseointegration. Eur Spine J 10[Suppl. 2[.96-101 Zaffe D (2005) Some considerations on biomaterials and bone. Micron 36:583-592 Yuan H, Yang Z, Li Y et al (1998) Osteoinduction by calcium phosphate biomaterials. J Mater Sci Mater Med 9:723-726