giugno Vol. 13, n° 3
INTRODUZIONE Nelle ultime decadi si è assistito a una progressiva riduzione della durata media del sonno notturno e a un incremento dell’incidenza dei disturbi del sonno, intesi sia come generica compromissione della qualità dello stesso (legata a fattori ambientali, patologici o iatrogeni) sia come disturbi specifici, quali la sindrome delle apnee ostruttive notturne (OSA). Parallelamente si è verificato un incremento dell’incidenza della sindrome metabolica (SM) (1). Con il termine di SM ci si riferisce alla coesistenza in uno stesso individuo di alterazioni metaboliche quali disturbi della tolleranza glicidica, obesità viscerale, dislipidemia e ipertensione arteriosa, alterazioni che agiscono in modo sinergico nel configurare un quadro di aumentato rischio cardiovascolare. L’ipotesi più accreditata, anche se non universalmente accettata, individua nell’insulino-resistenza, con la conseguente iperinsulinemia, l’elemento eziopatogenetico unificante alla base delle alterazioni componenti la SM; la condizione di insulino-resistenza, oltre ad avere una base genetica, è favorita dall’eccesso di adiposità viscerale, indotto da fattori quali iper-alimentazione e sedentarietà. Sebbene la causa primaria dell’incremento dell’incidenza della SM sia verosimilmente correlabile in primo luogo proprio alle modificazioni dello stile di vita che favoriscono tali abitudini, studi sperimentali ed epidemiologici suggeriscono che anche le alterazioni quali-quantitative del sonno possano contribuire al manifestarsi della sindrome (2). Nel presente articolo si prendono in esame le attuali evidenze a favore di una correlazione tra i disturbi del sonno e le diversi componenti della SM; un paragrafo a parte viene dedicato all’OSA.
Disturbi del sonno e sindrome metabolica: quali relazioni eziopatogenetiche? Proposto da Emanuela Arvat Valentina Ramella Gigliardi, Elena Gramaglia, Michela Tomelini, Ilaria Olivetti, Andrea Benso, Elisa Calvi, Stefano Frara, Ezio Ghigo, Fabio Broglio Divisione di Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo, Università di Torino, A.O.U. S. Giovanni Battista, Torino
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elle ultime decadi si è assistito a un incremento dell’incidenza dei disturbi quali-quantitativi del sonno. Parallelamente è aumentata l’incidenza della sindrome metabolica. Quest’ultimo fenomeno è certamente imputabile in primo luogo a fattori ambientali (iper-alimentazione e sedentarietà) ma numerose evidenze epidemiologiche e sperimentali suggeriscono che i disturbi del sonno possano agire come concausa. Del resto un sonno quantitativamente e qualitativamente adeguato è fondamentale per il mantenimento di un ottimale metabolismo glicidico, dell’integrità dei meccanismi di regolazione dell’appetito e di un normale pattern pressorio. La consapevolezza di una possibile associazione tra i disturbi del sonno e le diverse componenti della sindrome metabolica offre importanti spunti nel campo della prevenzione e del trattamento di queste ultime.
©2012,
Editrice Kurtis
DISTURBI DEL SONNO E ALTERAZIONI DELLA TOLLERANZA GLICIDICA È nozione consolidata ormai da anni che il sonno influisce sull’omeostasi glicidica (3). In particolare nella modulazione del metabolismo glicidico appare fondamentale il cosiddetto sonno a onde lente, che si verifica durante gli stadi 3 e 4 della fase non REM. Durante il sonno a onde lente il metabolismo cerebrale del glucosio è rallentato (la captazione di glucosio da parte dei neuroni è ridotta del 30-40% rispetto allo stato di veglia), la secrezione di GH è incrementata mentre quella del cortisolo è inibita, l’attività del sistema nervo-
so simpatico è ridotta mentre il tono vagale è accresciuto (1). A conferma del ruolo fondamentale del sonno sull’omeostasi glicidica, studi sperimentali hanno documentato che sia la deprivazione di sonno (anche parziale ma ripetuta nel tempo) sia una compromissione della qualità dello stesso esitano in alterazioni del metabolismo glicidico. Il primo studio atto a valutare le conseguenze di una ripetuta parziale deprivazione di sonno sul metabolismo glicidico coinvolse 11 giovani soggetti sani che vennero valutati con un test di tolleranza al glucosio endovenoso effettuato dopo 6 notti in cui venne loro concesso di dormi-
Corrispondenza: Fabio Broglio, Dipartimento di Medicina Interna, Corso Dogliotti 14, 10126 Torino. E-mail:
[email protected]
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re 4 ore per notte e ripetuto dopo 6 notti in cui dormirono per 12 ore consecutive. In condizioni di debito di sonno emerse una minore tolleranza glicidica, conseguenza sia di una riduzione del 30-40% dell’utilizzo non-insulino-dipendente del glucosio sia di una riduzione di quasi il 30% della secrezione di insulina, nonostante una contemporanea riduzione della sensibilità all’insulina stessa. L’analisi effettuata sugli stessi soggetti dopo una colazione ricca di carboidrati consumata al termine del periodo di deprivazione parziale di sonno e dopo il successivo periodo di sonno preservato confermò una riduzione della tolleranza glicidica e della sensibilità all’insulina in condizioni di debito di sonno (4). Uno studio successivo rilevò livelli glicemici basali più elevati del normale e insulinemici più bassi dopo sole 2 notti consecutive di deprivazione parziale di sonno (4 ore di sonno per notte) (4). Infine, da uno studio più recente effettuato con clamp euglicemico iper-insulinemico è emersa una riduzione della sensibilità all’insulina in condizioni di debito di sonno (5 ore di sonno per notte per una settimana) (4). L’effetto delle alterazioni qualitative del sonno sul metabolismo glicidico è stato invece dimostrato da un recente studio in cui la tolleranza al glucosio è stata valutata previa soppressione quasi totale del sonno a onde lente in assenza di riduzione della durata totale del periodo di sonno. Si ricorda a questo proposito che una cospicua riduzione del sonno a onde lente si osserva negli anziani, in molti soggetti obesi e nei soggetti affetti da OSA. Il test di tolleranza al glucosio endovenoso effettuato in giovani volontari sani dopo 3 notti di soppressione del sonno a onde lente ha evidenziato, rispetto a quanto osservato in condizioni di sonno preservato, una riduzione della tolleranza al glucosio del 23%, una riduzione della sensibilità all’insulina del 25% e una riduzione della secrezione insulinica (4).
Nel complesso i risultati ottenuti dimostrano che le alterazioni qualiquantitative del sonno riducono la tolleranza glicidica e inducono insulino-resistenza suggerendo un loro possibile ruolo nel favorire l’insorgenza del diabete mellito tipo 2 (DMT2), come supportato da alcuni studi epidemiologici prospettici che hanno osservato una correlazione tra l’incidenza dei disturbi del sonno e quella del DMT2 (5). I meccanismi eziopatogenetici attraverso i quali la deprivazione di sonno altera il metabolismo glicidico appaiono molteplici (5) (Figura 1). In condizioni di debito di sonno sono stati infatti osservati: una riduzione del metabolismo cerebrale del glucosio (dimostrata anche da valutazioni con tomografia a emissione di positroni); un incremento dell’attività del sistema nervoso simpatico con conseguente riduzione della secrezione di insulina; un’aumentata secrezione notturna di GH e serale di cortisolo; un incremento dei livelli di citochine pro-infiammatorie note per predisporre a una riduzione della tolleranza glicidica. Infine l’incremento ponderale favorito dalla deprivazione di sonno (argomento di cui si discuterà nel prossimo paragrafo)
rappresenta un ulteriore fattore che fortemente contribuisce all’insorgenza di insulino-resistenza.
DISTURBI DEL SONNO E OBESITÀ Nella regolazione dell’appetito un ruolo fondamentale è rivestito da leptina e ghrelin, due ormoni secreti rispettivamente dal tessuto adiposo e dallo stomaco. La leptina ha effetto inibitorio sull’appetito e promuove il senso di sazietà. Ghrelin ha effetto stimolatorio sull’appetito e la sua secrezione è prontamente soppressa dall’ingestione di cibo per poi aumentare nuovamente dopo circa 2 ore dal pasto. Durante il sonno notturno i livelli plasmatici di leptina sono elevati, fenomeno solo in parte attribuibile allo stato di digiuno; infatti un incremento dell’ormone, seppur di grado minore, si osserva anche in soggetti sottoposti a nutrizione enterale continua. Il profilo di secrezione di ghrelin durante il sonno notturno è invece caratterizzato da un iniziale incremento (che riflette in parte il noto incremento post-prandiale tardivo) seguito da una progressiva riduzione (5). Di primaria importanza nella
Figura 1 Disturbi del sonno e alterazioni della tolleranza glicidica: eziopatogenesi.
Riduzione durata sonno
Ipertono sistema nervoso simpatico
Riduzione metabolismo cerebrale del glucosio
Riduzione secrezione di insulina
Ipersecrezione notturna di GH, cortisolo e citochine pro-infiammatorie Riduzione sensibilità all’insulina
Riduzione tolleranza glicidica
IGT/DMT2
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Sonno e sindrome metabolica Figura 2 Disturbi del sonno e obesità: eziopatogenesi.
Riduzione durata sonno
Riduzione secrezione di leptina e aumento secrezione di ghrelin
Stato di affaticamento cronico Riduzione attività fisica
Incremento appetito
Riduzione dispendio energetico
OBESITÀ
regolazione dell’appetito sono inoltre l’orexina A e l’orexina B, due peptidi secreti dall’ipotalamo laterale i cui effetti dimostrano una correlazione tra la regolazione della ciclicità sonno-veglia e il controllo dell’appetito; tali peptidi svolgono infatti un ruolo fondamentale nel mantenimento dello stato di veglia e nel contempo stimolano l’appetito. La secrezione delle orexine è stimolata da ghrelin e inibita dalla leptina (4). La variazione sonno-dipendente dei livelli di leptina e ghrelin e la duplice funzione delle orexine suggeriscono che la secrezione di tali fattori regolatori dell’appetito possa essere alterata da disturbi qualiquantitativi del sonno (Figura 2). In particolare alcuni studi sperimentali hanno documentato che il debito di sonno si associa a una variazione dei livelli plasmatici di leptina e di ghrelin. Da uno studio in cui la secrezione di leptina e di ghrelin venne valutata dopo deprivazione parziale ripetuta di sonno (4 ore di sonno per 2 notti) e dopo sonno prolungato (10 ore di sonno per 2 notti) emerse che in condizione di debito di sonno i livelli plasmatici medi nelle 24 ore
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di leptina erano ridotti del 18% mentre quelli di ghrelin aumentati del 28%, con un rapporto ghrelinleptina accresciuto di più del 70%; contemporaneamente l’appetito risultò incrementato del 23% e il desiderio di cibi ad alto contenuto di carboidrati del 32% (4). Studi successivi dimostrarono che la diminuzione dei livelli plasmatici di leptina e l’incremento di quelli di ghrelin sono direttamente proporzionali all’entità della restrizione di sonno (4). Analogo effetto sulla secrezione dei due peptidi si riscontra, inoltre, in condizioni di deprivazione di sonno cronica, come documentato da studi effettuati su soggetti con durata di sonno abitualmente breve (minore di 7 ore per notte) (4). La riduzione dei livelli plasmatici di leptina e l’incremento dei livelli di ghrelin esita in un incremento dell’appetito e della motivazione a consumare cibi ad alto contenuto calorico. Si ipotizza inoltre che la riduzione della leptina e, in misura minore, l’incremento di ghrelin inducano una riduzione del dispendio energetico. In modelli animali, infatti, la leptina accresce il consumo energe-
tico (verosimilmente tramite stimolo della termogenesi a livello del tessuto adiposo bruno) mentre ghrelin ha effetto opposto; la somministrazione di leptina nei topi previene la riduzione del dispendio energetico tipicamente associata a una restrizione dell’apporto calorico. La somministrazione di leptina in soggetti umani normo-alimentati non ha avuto effetti sul dispendio energetico; tuttavia la sua somministrazione a 4 soggetti umani sottoposti a dieta ipocalorica ha reso minore l’entità della riduzione del dispendio energetico, analogamente a quanto osservato nel modello animale (3). In condizioni di debito di sonno, inoltre, i livelli di proteina C reattiva, che si ipotizza legare la leptina rendendola inattiva, sono più elevati (6); ciò amplificherebbe l’impatto negativo della riduzione della leptina sul bilancio energetico. Infine, più banalmente, il dispendio energetico in condizione di cronica deprivazione di sonno è minore perché lo stato di affaticamento cronico porta a ridurre al minimo l’attività fisica. In conclusione in condizioni di debito di sonno si verificano numerose alterazioni neuro-endocrine che possono favorire un incremento ponderale. Del resto da una recente metanalisi è emerso che un sonno abituale di breve durata è associato a un aumentato rischio di obesità sia negli adulti sia nei bambini (7). In un’altra metanalisi che ha coinvolto solo bambini il rischio di obesità è risultato tanto maggiore quanto minore è la durata del sonno (8). Precisiamo che sebbene studi sperimentali ed epidemiologici suggeriscano, come si è detto, che un sonno di breve durata possa rappresentare un fattore causale di obesità, è anche possibile una relazione causale inversa con l’instaurarsi di un “circolo vizioso” per cui il debito di sonno promuove l’incremento ponderale e successivamente l’adiposità in eccesso induce il disturbo del sonno (1).
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DISTURBI DEL SONNO E IPERTENSIONE ARTERIOSA In condizioni fisiologiche durante il sonno i valori pressori sisto-diastolici sono ridotti del 10-20% rispetto alle ore di veglia. Tale pattern pressorio è indotto dal prevalere del tono del sistema nervoso parasimpatico su quello del simpatico, oltre a essere modulato da fattori neuro-ormonali ad attività ipno-inducente (serotonina, VIP, somatotropina, insulina, ormoni steroidei) (9). Da una recente metanalisi è emerso che in soggetti di età minore di 60 anni vi è un’associazione tra una durata del sonno notturno abitualmente breve (minore di 5-6 ore per notte) e il rischio di sviluppare ipertensione arteriosa; tale associazione è risultata di grado superiore nel sesso femminile (per motivi a tutt’oggi non noti) mentre non è stata documentata in soggetti di età maggiore di 60 anni, fatto almeno in parte verosimilmente correlato alla maggiore opportunità per questi ultimi di compensare con il riposo diurno la brevità di quello notturno (10). Tra i meccanismi eziopatogenetici attraverso cui uno stato di cronico debito di sonno può favorire l’insorgenza di ipertensione vi è innanzitutto l’incremento dell’attività del sistema nervoso simpatico, dimostrato da un aumento dei livelli di catecolamine plasmatiche (11) (Figura 3). L’ipertono simpatico oltre a promuovere direttamente vasocostrizione periferica e incremento della gittata cardiaca ha effetto stimolatorio sul sistema reninaangiotensina-aldosterone. In secondo luogo, un più prolungato stato di veglia accresce l’occasione di esposizione a fattori ambientali ipertensivizzanti quali consumo di caffeina e stress emotivi. A questo proposito si noti che recenti evidenze documentano che l’esposizione ad agenti stressogeni, oltre a rappresentare un ulteriore elemento di stimolo sul simpatico, favorisce un sovraccarico di volume promuovendo il desiderio di cibi salati e inibendo l’escrezione urinaria di sodio (11). Infine, i livelli pressori medi delle
Figura 3 Disturbi del sonno e ipertensione arteriosa: eziopatogenesi.
Riduzione durata sonno
Ipertono sistema nervoso simpatico
Aumento tempo di esposizione a fattori ambientali stressogeni
Sovraccarico di volume
IPERTENSIONE ARTERIOSA
24 ore si innalzano inevitabilmente perché, come si è detto, è proprio durante il sonno che la pressione arteriosa raggiunge i valori più bassi.
SINDROME DELLE APNEE OSTRUTTIVE E SINDROME METABOLICA L’OSA è un disturbo del sonno caratterizzato da ripetuti episodi di interruzione/riduzione del flusso respiratorio (causati dal collasso delle vie aeree superiori) seguiti da altrettanti risvegli con ripristino della normo-ventilazione; ne conseguono frammentazione del sonno, riduzione della sua durata globale e una condizione di ipossia intermittente che promuove un’iper-attivazione del sistema nervoso simpatico e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e induce disfunzione endoteliale, stress ossidativo e stato pro-infiammatorio (12). L’OSA è associato a un incremento del rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare, fenomeno almeno in parte correlato alla frequente concomitanza del disturbo del sonno con la SM (12). Le più recenti evidenze suggeriscono che l’OSA rivesta un ruolo concausale nello sviluppo delle varie
componenti della SM, e che, viceversa, alcune alterazioni metaboliche favoriscano l’insorgenza e aggravino tale disturbo del sonno. Esiste innanzitutto una relazione reciproca tra OSA e obesità: da un lato l’obesità rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo dell’OSA, dall’altro l’OSA predispone all’incremento ponderale, in particolare all’accumulo di adiposità viscerale (il trattamento con cPAP riduce il tessuto adiposo viscerale anche nei pazienti in cui non ha effetti rilevanti sul BMI) (2). Concordemente a quanto osservato in soggetti sani in condizione di debito di sonno, i pazienti affetti da OSA presentano livelli plasmatici di ghrelin aumentati, che si riducono prontamente con il trattamento con cPAP. Al contrario la riduzione dei livelli plasmatici di leptina associata a deprivazione parziale di sonno non si rileva in tali pazienti, nei quali è anzi presente una condizione di iperleptinemia; il fenomeno suggerisce uno stato di leptino-resistenza specificatamente indotto da tale disturbo del sonno (4). Per quanto riguarda l’eventuale correlazione tra OSA e dislipidemia, alcuni tra i pochi studi effettuati a questo proposito hanno rilevato che
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i soggetti affetti da OSA presentano, rispetto ai controlli, un pattern lipidico caratterizzato da minori livelli di colesterolo HDL maggiore rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL e maggiori livelli di trigliceridi (2). Alla base delle alterazioni del profilo lipidico sarebbe l’ipossia intermittente che riduce la clearance delle lipoproteine e promuove la sintesi epatica di VLDL sia direttamente (mediante up-regulation della trascrizione di enzimi coinvolti nella lipogenesi) sia favorendo la lipolisi e quindi la disponibilità di acidi grassi liberi (13). L’OSA potrebbe inoltre essere causa di alterazioni non solo quantitative ma anche qualitative delle lipoproteine, come documentato da un recente studio da cui è emerso un incremento dei livelli di LDL ossidate concomitante a una riduzione delle proprietà anti-ossidanti delle HDL (2). In attesa di ulteriori studi atti a documentare un effettivo rapporto causale tra il disturbo del sonno e le alterazioni del profilo lipidico che sia indipendente da altri fattori (in primo luogo l’obesità), si noti che dopo trattamento con cPAP i livelli di colesterolo HDL risultano incrementati (2). Nei pazienti affetti da OSA si rilevano frequentemente una riduzione della tolleranza glicidica e uno stato di insulino-resistenza. Tali alterazioni metaboliche sono certamente in primo luogo conseguenza del concomitante eccesso di adiposità viscerale che affligge questi soggetti. Evidenze degli ultimi anni supportano però l’ipotesi che il disturbo del sonno in quanto tale (indipendentemente da altri fattori) induca alterazioni del metabolismo glicidico, sebbene contrastanti siano i dati relativi agli effetti del trattamento con cPAP (2). I fattori eziopatogenetici evocati a questo proposito sono plurimi (13): l’ipertono del simpatico che stimola la glicogenolisi e la neogluconeogenesi, promuove la lipolisi con conseguente incremento degli acidi grassi liberi, stimola la secrezione del glucagone e inibisce
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quella dell’insulina; lo stress ossidativo, condizione nota per favorire l’insulino-resistenza; l’ipersecrezione di glucocorticoidi; lo stato proinfiammatorio caratterizzato da incremento di citochine che riducono la sensibilità all’insulina. Si noti che nei soggetti affetti da DMT2 la prevalenza dell’OSA è del 17-48% (a fronte di una prevalenza nella popolazione generale del 2-7%) (4) e che la presenza di diabete influisce negativamente sui meccanismi di controllo della ventilazione, come dimostrato in modelli animali con diabete streptozotocina-indotto (2), a testimoniare una reciprocità di effetti tra OSA e alterazioni del metabolismo glicidico. Infine, numerosi studi longitudinali, trasversali e di intervento supportano un’associazione tra OSA e rischio di sviluppare ipertensione arteriosa e rilevano nel contempo una riduzione dei livelli pressori sia diurni che notturni dopo trattamento con cPAP (2). I meccanismi eziopatogenetici sottostanti sembrano essere non solo l’iper-attivazione del sistema nervoso simpatico ma anche una disfunzione endoteliale, una riduzione della sensibilità dei barorecettori, un’iper-responsività dei chemocettori periferici e un’alterazione del bilancio idro-salino (9). Nel complesso le suddette evidenze suggeriscono l’importanza del trattamento dell’OSA per il miglioramento del quadro metabolico globale dei pazienti affetti e quindi la necessità di effettuare sistematicamente una valutazione per individuare la presenza di tale disturbo del sonno nelle popolazioni a rischio, in particolare nei soggetti obesi e/o affetti da DMT2.
CONCLUSIONI L’incremento dell’incidenza della SM che si è verificato nelle ultime decadi è verosimilmente secondario a fattori ambientali quali sedentarietà e iper-alimentazione ma numerose evidenze suggeriscono che i disturbi del sonno possono agire come concausa del fenomeno; un sonno quan-
titativamente e qualitativamente adeguato è infatti fondamentale per il mantenimento di un ottimale metabolismo glicidico, dell’integrità dei meccanismi di regolazione dell’appetito e di un normale pattern pressorio, attraverso la modulazione di diversi fattori neuro-endocrini, metabolici e nervosi. La consapevolezza di una possibile associazione tra disturbi del sonno e le diverse componenti della SM offre importanti spunti nel campo della prevenzione e del trattamento di queste ultime. BIBLIOGRAFIA 1. Van Cauter E, Spiegel K, Tasali E, Leproult R 2008 Metabolic consequences of sleep and sleep loss. Sleep Medicine 9 Suppl 1:S23-S28. 2. Wolk R, Somers VK 2007 Sleep and metabolic syndrome. Exp Physiol 92:67-78. 3. Knutson KL, Spiegel K, Penev P, Van Cauter E 2007 The metabolic consequences of sleep deprivation. Sleep Med Rev 11:163-178. 4. Spiegel K, Tasali E, Leproult R, Van Cauter E 2009 Effects of poor and short sleep on glucose metabolism and obesity risk. Nat Rev Endocrinol 5:253-261. 5. Knutson KL, Van Cauter E 2008 Associations between sleep loss and increased risk of obesity and diabetes. Ann N Y Acad Sci 1129: 287-304. 6. Meier-Ewert HK, Ridker PM, Rifai N 2004 Effect of sleep loss on C-reactive protein, an inflammatory marker of cardiovascular risk. J Am Coll Cardiol 43:678-683. 7. Cappuccio FP, Taggart FM, Kandala NB, Currie A, Peile E, Stranges S, Miller MA 2008 Meta analysis on short sleep duration and obesity in children and adults. Sleep 31:619626. 8. Chen X, Beydoun MA, Wang Y 2008 Is sleep duration associated with childhood obesity?. Obesity (Silver Spring) 16:265-274. 9. Smolensky MH, Hermida RC, Castriotta RJ, Portaluppi F 2007 Role of sleep-wake cycle on blood pressure circadian rhythms and hypertension. Sleep Med 8:668-680. 10. Gangwisch JE, Heymsfield SB, BodenAlbala B, Buijs RM, Kreier F, Pickering TG, Rundle AG, Zammit GK, Malaspina D 2006 Short sleep duration as a risk factor for hypertension. Analyses of the First National Health and Nutrition Examination Survey. Hypertension 47:833-839. 11. Nagai M, Hoshide S, Kario K 2010 Sleep duration as a risk factor for cardiovascular disease - a review of the recent literature. Curr Cardiol Rev 6:54-61. 12. Lam JCM, Ip MSM 2010 Sleep and the metabolic syndrome. Indian J Med Res 131:206216. 13. Drager LF, Jun JC, Polotsky VY 2010 Metabolic consequences of intermittent hypoxia: relevance to obstructive sleep apnea. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab 24:843-851.