Vol. 2, n° 3, settembre 2001
L
’acromegalia è una malattia rara ma severa, il cui trattamento prevede un approccio integrato tra terapia medica, chirurgica e radioterapia. Tale schema terapeutico consente attualmente di curare la malattia nel 75% dei casi. In questo articolo, presenteremo le più recenti acquisizioni e le nuove prospettive nel trattamento terapeutico dell’acromegalia.
Trattamento dell’acromegalia: attualità e prospettive Annamaria Colao*, Paolo Cappabianca**, Maria Luisa Landi*, Mariagiovanna Filippella*, Paolo Marzullo*, Luigi M. Cavallo**, Enrico de Divitiis**, Gaetano Lombardi*
*Dipartimenti di Endocrinologia e Oncologia Molecolare e Clinica, e di **Neurochirurgia Università di Napoli “Federico II”
Corrispondenza: Prof. Anna Maria Colao Dipartimento di Endocrinologia ed Oncologia Molecolare Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Via S. Pansini, 5 80131 Napoli
© 2001, Editrice Kurtis
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INTRODUZIONE L’acromegalia è una sindrome clinica determinata da un’eccessiva secrezione di GH, e conseguentemente di IGF-1 (1). Nel 99% dei casi l’acromegalia è causata da un adenoma ipofisario GH-secernente; solo in una ristretta minoranza di casi dipende da un tumore intra- o extra-cranico secernente il fattore di rilascio per il GH (GHRH) (2). L’acromegalia è da considerarsi malattia rara, con una incidenza annua di circa 3-4 casi per milione di abitante, mentre la sua prevalenza nella popolazione generale è stimata intorno ai 40 casi per milione di abitanti (3). I più comuni segni e sintomi di acromegalia sono ben conosciuti e anche facilmente individuabili: prognatismo, prominenza delle bozze frontali, aumento delle dimensioni delle mani e dei piedi, ipertrofia dei tessuti molli, gozzo, iperidrosi (Tabella 1). A essi devono essere aggiunte le compli-
canze sistemiche che aumentano di frequenza con l’aumento della durata di malattia: l’osteoartrite, la sindrome del tunnel carpale, l’astenia, le alterazioni del campo visivo, i disordini della sfera riproduttiva, la poliposi del colon, la sleep apnea, la ridotta tolleranza ai carboidrati, l’ipertensione arteriosa e la cardiopatia che può giungere fino all’insufficienza cardiaca congestizia (4). Nonostante il corredo clinico-sintomatologico così importante e variegato, ancora oggi la diagnosi di acromegalia viene spesso formulata con notevole ritardo a causa della sua evoluzione insidiosa. In diversi studi epidemiologici condotti su pazienti acromegalici, la diagnosi è infatti posta mediamente dopo 410 anni o anche più di malattia attiva, con quindi considerevole ritardo anche nell’intraprendere adeguate misure terapeutiche (5, 6). Inoltre è stato osservato che i pazienti acromegalici presentano un aumento del rischio di mortalità due-tre volte superiore rispetto alla popolazione generale principalmente a causa di un’aumentata prevalenza di malattie cardiovascolari, cerebrovascolari e neoplasie (7).
OBIETTIVI TERAPEUTICI Il trattamento dell’acromegalia si propone di sopprimere la secrezione di GH/IGF-1 inducendo così la regressione e/o il controllo dei segni e sintomi della malattia, rimuovere il tumore ipofisario e/o extraipofisario, correggendo i deficit campimetrici ma preservando l’integrità della residua funzione ipofisaria. Un trattamento ottimale dovrebbe anche indurre prevenzione delle recidive, e regressione delle problematiche sistemiche quali le alterazioni della funzione cardiovascolare, polmonare e delle complicanze metaboliche. Complessivamente tali obiettivi comporterebbero il raggiungimento di
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una normale qualità e aspettativa di vita (Tabella 2). Quando la malattia viene diagnostica in uno stadio avanzato non sempre è possibile raggiungere tutti questi obiettivi terapeutici e molte delle alterazioni somatiche indotte dalla malattia rimarranno immodificate. Il trattamento sarà pertanto volto soprattutto alla rimozione della sede di produzione di GH e a inibire l’ipersecrezione di GH. La normalizzazione dei livelli di GH non solo impedisce la progressione dei sintomi e lo sviluppo delle complicanze, ma si associa anche a un miglioramento delle aspettative di vita (8). Diverse sono attualmente le opzioni terapeutiche disponibili: terapia chirurgica, radioterapia, terapia medica. Tali trattamenti potranno, come vedremo, essere impiegati da soli oppure in maniera combinata, la scelta di una particolare modalità di trattamento sarà valutata sulla base di diversi fattori che includono: età del paziente, severità della malattia, presenza di complicanze e rapporto rischio/ beneficio per ciascun tipo di trattamento.
CRITERI DI CURA Prima di approfondire le tematiche relative ai vantaggi e svantaggi
Tabella 1 – Frequenza dei principali segni e sintomi di acromegalia.
TABELLA 1 Estremità ingrossate
97%
Visceromegalia
90%
Cute umida
68%
Diastasi dentaria
65%
Ipertensione arteriosa
55%
Gozzo
40%
Ridotta tolleranza glucidica
40%
Diabete
25%
Deficit campimetrici
25%
Artralgie
80%
Iperidrosi
66%
Cefalea
40%
Irregolarità mestruali
35%
Astenia
36%
Sindrome del tunnel carpale
30%
Alterazione del tono dell’umore
12%
degli approcci, chirurgico, radioterapico e medico, è importante sottolineare che i criteri utilizzati per giudicare l’efficacia dei diversi trattamenti sono stati modificati nel corso degli ultimi anni. Una recente Consensus Conference ha stabilito che i criteri di cura attuali per l’acromegalia devono tener
TABELLA 2
Tabella 2 – Obiettivi terapeutici nel trattamento dell’acromegalia.
Soppressione dell’ipersecrezione di GH-IGF-1 Regressione e/o controllo dei segni e sintomi della malattia Rimozione del tumore ipofisario o extraipofisario Correzione dei deficit campimetrici Preservazione dell’integrità di una normale funzione ipofisaria Prevenzione delle recidive Miglioramento della funzione cardiovascolare, polmonare e delle complicanze metaboliche Raggiungimento di una normale qualità e aspettativa di vita
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Terapia dell’acromegalia
conto di valori di GH a digiuno inferiori a 2,5 μg/l o di GH dopo carico di glucosio (75 g per os) inferiori a 1 μg/l in presenza di livelli di IGF-1 nei limiti normali in relazione all’età dei pazienti (9).
TERAPIA CHIRURGICA La rimozione chirurgica dell’adenoma ipofisario mediante via transfenoidale costituisce un’efficace procedura terapeutica nella gran parte dei pazienti acromegalici. Tale trattamento costituisce anche la più idonea procedura per determinare una rapida decompressione delle strutture intracraniche, quali il chiasma ottico e i ventricoli cerebrali. La probabilità di guarigione chirurgica della malattia dipende notevolmente dall’esperienza del neurochirurgo e dalle dimensioni ed estensione della massa adenomatosa. L’escissione chirurgica del tumore è indicata in tutti quei pazienti con un adenoma piccolo e ben localizzato all’interno della sella turcica (cosiddetto adenoma incluso) (10). Tale trattamento determina una rapida e sostanziale riduzione dei livelli sierici di GH nell’immediato post-operatorio e progressiva normalizzazione dei livelli di IGF-1 nelle settimane successive alla chirurgia. Tuttavia solo il 70-80% dei pazienti con microadenoma e meno del 50% dei pazienti con macroadenoma raggiungono livelli circolanti di GH inferiori a 5 μg/l dopo chirurgia (10). Inoltre, in una rivisitazione di 1360 pazienti provenienti da 30 serie chirurgiche, solo il 60% dei pazienti presentava livelli di GH inferiori a 5 μg/l (11, 12). Sebbene la gran parte dei pazienti raggiunga un considerevole miglioramento dei sintomi e una riduzione della secrezione di GH, la chirurgia non è curativa in una grande percentuale di essi (13). Un’analisi accurata dei risultati chirurgici nell’acrome-
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galia è di difficile valutazione a causa dei diversi criteri di cura utilizzati dai vari Autori. Uno studio condotto su 224 pazienti ha mostrato che, usando come criterio di cura valori di GH basali postoperatori inferiori a 5 μg/l, la percentuale di guarigione per microadenomi, macroadenomi e adenomi giganti era rispettivamente di 81, 68 e 17%. Quando invece veniva adottato un criterio di cura più restrittivo con valori di GH dopo carico orale di glucosio inferiori a 2 μg/l la percentuale di cura era il 72% per i microadenomi, 50% per i macroadenomi e 17% per gli adenomi giganti (14). Ciò suggerisce che il tasso di cura è inversamente correlato alle dimensioni dell’adenoma. I risultati della chirurgia inoltre dipendono da altre variabili quali i livelli pre-operatori di GH e IGF-1, la risposta del GH al carico orale di glucosio e il grado di invasività locale dell’adenoma. I tumori non invasivi sono curati con la terapia chirurgica nel 72% dei casi, mentre solo il 42% dei tumori invasivi raggiunge livelli post-operatori di GH inferiori a 5 μg/l (15). Un altro studio condotto su diverse serie chirurgiche, conclude che il 60% dei pazienti sottoposti ad adenomectomia transfenoidale raggiunge livelli post-operatori di GH inferiori a 5 μg/l mentre il rimanente 40-50% mostra ipersecrezione di GH nella valutazione post-operatoria (16). La più alta percentuale di successo chirurgico con tasso di cura superiore al 90% è ottenuto in pazienti con microadenoma intrasellare (<10 mm di diametro). I risultati di altre serie chirurgiche confermano tali dati e suggeriscono che i risultati migliori sono ottenuti in quei centri in cui l’operatore è unico e di provata esperienza (17, 18). Il rischio di mortalità per chirurgia transfenoidale è stimato intorno all’1%. Le complicanze della chirurgia includono: ipopi-
tuitarismo, diabete insipido, rinoliquorrea, sinusiti, emorragie intraoperatorie, lesione della carotide, paralisi dell’oculomotore, disturbi del visus e meningite (14, 18, 19). Più recentemente l’introduzione della chirurgica transfenoidale endoscopica endonasale ha comportato un netto miglioramento della metodica e una minore invasività chirurgica, ha ridotto il periodo di ospedalizzazione e la morbilità legata al fatto che si ha una netta riduzione del trauma sulle strutture nasali e migliora il trattamento della fossa ipofisaria. Soprattutto, si riduce il rischio potenziale di danno a carico delle strutture vascolari e nervose parasellari. Già nel 1993 Jho et al. proponevano la chirurgia transfenoidale con semplice approccio endoscopico endonasale per la rimozione sia degli adenomi ipofisari che di lesioni a essi correlate (20, 21). Tale approccio è estremamente efficace non soltanto per l’eccellente visione endoscopica, ma anche perché consente di evitare l’impiego di divaricatori sfenoidali, la resezione del turbinato medio, l’apertura delle cellule etmoidali e l’utilizzo di tamponi nasali (22, 23). Questa tecnica consente un maggiore rispetto delle strutture nasali interne poiché non vi è danno della mucosa nasale, con conseguente riduzione delle comuni complicanze nasali presenti nell’approccio microchirurgico transfenoidale tradizionale quali: perforazione del setto e sinusiti sfenoidali, più frequenti di quanto comunemente riportato (24, 25). Inoltre, il trattamento delle recidive tumorali di adenomi già sottoposti a chirurgia transfenoidale con la tecnica endoscopica è semplificato, in quanto l’ostio sfenoidale è già slargato e un’eventuale ostruzione da precedente cicatrice e/o adesione è facilmente superata dall’assenza della fase nasale sottomucosa dell’inter-
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vento. La sella turcica viene raggiunta in maniera agevole e accurata grazie all’ampia visione offerta dall’endoscopio. In uno studio condotto su 16 pazienti trattati con tecnica endoscopica per recidiva tumorale, la rimozione della lesione risultava completa per 7 di essi senza la necessità di un trattamento radioterapico aggiuntivo (26). Infine, la riduzione della durata di degenza ospedaliera post-operatoria (molti dei pazienti vengono dimessi entro 2 giorni dall’intervento) osservata in pazienti trattati con tecnica endoscopica ha condotto anche a una significativa riduzione dei costi di gestione del paziente. Il confronto tra la tecnica endoscopica semplice e l’approccio microscopico trans-sfenoidale tradizionale risulta poco attendibile sia per la grande diversità nell’approccio chirurgico (più o meno aggressivo) sia per la necessità di un più significativo e lungo follow-up (27). Si può tuttavia osservare che le complicanze chirurgiche nell’approccio endoscopico sono nettamente ridotte se confrontate con quelle riportate da Ciric et al. (24). Una preliminare esperienza microchirurgica tradizionale è utilissima così come è essenziale una completa e accurata conoscenza della fisiopatologia ipofisaria. Infatti, la tecnica endoscopica richiede una notevole curva di apprendimento: il tempo impiegato per ogni procedura si riduce progressivamente dal primo all’ultimo dei trattamenti chirurgici. L’utilizzazione di questa tecnica costituisce oggi una sfida anche nel trattamento di altre patologie distinte da quelle della regione sellare.
TERAPIA RADIANTE Diverse modalità di radioterapia sono attualmente disponibili per il trattamento degli adenomi ipofisa-
ri anche se la radioterapia convenzionale è ancora oggi la tecnica più usata perché le altre metodiche quali la radiochirurgia stereotassica e l’impianto di aghi radioattivi sono disponibili solo in un piccolo numero di centri specializzati. Nella radioterapia con acceleratore lineare la dose totale somministrata è di 40-50 Gy frazionata in somministrazioni giornaliere di 180 cGy, 5 giorni a settimana per una durata complessiva del trattamento di 5 o 6 settimane. Tale procedura conduce a un progressivo declino dei livelli di GH di circa il 50% nei primi 2 anni e del 75% dopo 5 anni di trattamento (28). Studi prospettici in pazienti acromegalici sottoposti a radioterapia hanno mostrato che, dopo 10 anni di trattamento i livelli di GH sono inferiori a 10 μg/l nell’81% e inferiori a 5 μg/l nel 69% dei pazienti (28). La proporzione di pazienti con livelli di GH inferiori a 5 μg/l è intorno al 77% dopo 15 anni, e l’88% di quelli seguiti per più di 15 anni (29). La radioterapia ipofisaria è, pertanto un metodo efficace ma molto lento nel ridurre l’ipersecrezione di GH. La risposta biochimica alla terapia radiante è inversamente correlata ai livelli di GH precedenti al trattamento (29). Anche in studi più recenti, in cui sono stati utilizzati dei criteri di cura più restrittivi viene confermata l’efficacia della radioterapia come trattamento per il controllo a lungo termine dell’ipersecrezione di GH e normalizzazione dei livelli di IGF-1 (30, 31). In uno studio condotto su 43 pazienti sottoposti a radioterapia post-chirurgica, la percentuale dei pazienti con normali livelli di IGF-1 era del 27% entro 6 anni dalla radioterapia, tale percentuale progressivamente incrementava a valori di 69,2% a distanza di più di 6 anni dal trattamento radioterapico (32). La radioterapia trova indicazione nei casi di insuccesso chirurgico, parti-
colarmente in quei pazienti con tumore di grosse dimensioni e infiltrante e nei casi in cui la malattia non è ben controllata dalla terapia medica. Poiché molti dei pazienti che vengono sottoposti a terapia radiante per ricorrente o persistente acromegalia post-chirurgica sono in trattamento con analoghi della somatostatina, Landolt et al. hanno di recente valutato, in uno studio retrospettivo, la possibile influenza della terapia medica sui risultati della radiochirurgia stereotassica. È stato osservato che pazienti trattati con octreotide (analogo della somatostatina) al momento dell’applicazione della terapia radiante raggiungono normali livelli di GH e IGF-1 dopo un intervallo di tempo significativamente più lungo rispetto a quelli che non ricevevano tale trattamento (33). L’octreotide, in contrasto con quanto osservato in studi in vitro, proteggerebbe l’adenoma ipofisario nei pazienti acromegalici dagli effetti della radiochirurgia stereotassica. Tale effetto potrebbe essere dovuto a una riduzione dell’attività metabolica dell’adenoma causata dall’octreotide (33). Questi risultati preliminari dovranno essere confermati da studi futuri che coinvolgano non solo la radiochirurgia stereotassica ma anche la radioterapia frazionata convenzionale per le importanti conseguenze che avrebbero nel condizionare la maggiore o minore efficacia della terapia radiante sugli adenomi GH-secernenti (34, 35). Gli effetti collaterali legati al trattamento radioterapico sono intorno all’1-2% e includono perdita di capelli, paralisi dei nervi cranici, necrosi tumorale con emorragia e, raramente, perdita del visus dovuta a danno a carico del nervo ottico o apoplessia ipofisaria. Poco frequente lo sviluppo di un tumore ipofisario dopo radioterapia, mentre molto comune è l’ipopituitarismo (36). Quasi la metà
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Terapia dell’acromegalia
dei pazienti avrà infatti un ipopituitarismo parziale o totale dopo 10 anni dalla radioterapia.
TERAPIA MEDICA La terapia medica dell’acromegalia si avvale di due principali, diverse, categorie di farmaci: i dopamino agonisti (DA) e gli analoghi della somatostatina (SSA) (37). Il primo approccio terapeutico farmacologico dell’acromegalia risale ai primi anni Settanta, quando fu scoperto che in circa la metà dei pazienti l’ipersecrezione di GH poteva essere controllata dal trattamento con levodopa e con agonisti dopaminergici quali la bromocriptina. Il modesto effetto sulla riduzione della massa tumorale, assieme ai risultati non costanti, pone però tale terapia in posizione complementare. Nel ’73, dopo la scoperta della somatostatina, fu osservato che tale ormone riduceva in modo marcato gli elevati livelli di GH presenti nei pazienti acromegalici, sia pure con una marcata variabilità interindividuale. Dall’inizio degli anni Ottanta, lo sviluppo di SSA ha permesso di disporre di molecole dotate di più lunga emivita plasmatica rispetto alla somatostatina native e provviste di un’elevata specificità d’azione sulla secrezione di GH. Attualmente la terapia medica nell’acromegalia è indicata innanzitutto nei pazienti con persistenza di malattia dopo intervento chirurgico, oppure nei pazienti in cui la chirurgia ha una bassa probabilità di successo o sono presenti delle controindicazioni. In tali circostanze la terapia medica deve essere considerata come prima opzione terapeutica (38). Al contrario, il pre-trattamento a scopo citoriduttivo per facilitare la rimozione chirurgica, soprattutto in presenza di grossi macroadenomi, è ancora oggetto di ampia discussione.
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a) Dopamino agonisti I DA più comunemente impiegati nella terapia medica dell’acromegalia sono gli ergot derivati come: pergolide, lisuride e soprattutto la bromocriptina (2-bromo-α-ergocriptina). Tale composto, insieme alla quinagolide un DA non-ergot derivato è stato ampiamente utilizzato in numerosi trials clinici. Recentemente, la sintesi della cabergolina un nuovo DA ergot derivato a lunga emivita ha aperto nuove prospettive nella terapia medica dell’acromegalia. La bromocriptina ha un picco di concentrazione molto rapido (1-3 ore) per cui richiede ripetute somministrazioni giornaliere. Il suo metabolismo è prevalentemente epatobiliare. La dose, generalmente usata negli acromegalici è di 10 mg/die per os. A causa della sua limitata durata si ha soppressione dei livelli di GH solo in una modesta percentuale di acromegalici (39). Allo scopo di mantenere costanti i livelli ematici di bromocriptina è stata successivamente sintetizzata la bromocriptina LAR, un preparato a lento rilascio con una durata di azione di 4-6 settimane (40). La cabergolina ha un’emivita di circa 65 ore e una durata d’azione di 7-14 giorni che consente il frazionamento settimanale della dose, variabile tra 0,5 e 3,5 mg/settimana. I DA si legano al recettore della dopamina di tipo 2 (D2) e determinano la soppressione dei livelli di GH in una piccola percentuale di pazienti acromegalici, mediante un meccanismo paradosso ancora non ben chiarito (39). Benché molti pazienti riferiscano un notevole miglioramento soggettivo della sintomatologia acromegalica, un reale miglioramento correlato a una diminuzione dei livelli ormonali si verifica soltanto in una minoranza di pazienti. In particolare sleep apnea, edema tissutale, mal di testa, iperidrosi, artropatia, ipertensione e intolleranza glucidica sono tra le complicanze che più facilmente
migliorano durante il trattamento con DA (39, 41, 42). Una normalizzazione dei livelli di IGF-1 si verificava solo nel 10% dei pazienti trattati con bromocriptina, mentre riduzione dei livelli di GH al di sotto di 5 μg/l si verificava in meno del 20% dei pazienti (Figura 1). La bromocriptina LAR non sembrava determinare alcun significativo miglioramento, in quanto determinava una percentuale di normalizzazione dei livelli di GH del 5% (42). La quinagolide sembra normalizzare i livelli di GH e di IGF-1 anche in pazienti non responsivi al trattamento con bromocriptina (41). La cabergolina a dosi comprese tra 1,03,5 mg/settimana per un periodo di 40 mesi mostrava di ridurre i livelli di GH al di sotto di 2 μg/l nel 46% dei pazienti e di normalizzare i livelli di IGF-1 nel 39% (43). È stato anche osservato un effetto di riduzione della massa tumorale in una piccola percentuale di pazienti durante trattamento con DA. La maggior parte degli studi ha valutato l’efficacia della bromocriptina: complessivamente il 29% dei pazienti trattati con tale farmaco mostrava una riduzione dell’adenoma (39). Recenti studi hanno evidenziato una riduzione tumorale anche in un limitato numero di acromegalici trattati con cabergolina (43). Gli effetti collaterali dei DA sono nausea, vomito, epistassi e in misura minore colica addominale, aritmia, manifestazioni neurologiche, astenia, insonnia, ipotensione posturale transitoria e vasospasmo periferico indotto dal freddo. Tali manifestazioni si verificano frequentemente negli acromegalici in trattamento con bromocriptina a causa degli alti dosaggi di bromocriptina utilizzati per ottenere un’azione efficace (44). b) Analoghi della somatostatina Benché proposta per il trattamento di numerose patologie
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umane, la somatostatina non può essere considerata un farmaco ideale perché presenta una breve emivita plasmatica (solo pochi minuti) e necessita, quindi, di essere somministrata per infusione endovenosa continua, con conseguente effetto rebound sulla secrezione dell’ormone stesso. Agli inizi degli anni Ottanta, nel tentativo di superare queste limitazioni, sono stati sviluppati degli SSA, cioè una categoria di farmaci che, pur conservando le stesse caratteristiche biologiche e farmacologiche dell’ormone nativo, presentassero un’emivita più lunga e fossero metabolicamente più stabili, perché meno aggredibili dagli enzimi proteolitici e rispondessero maggiormente alle esigenze terapeutiche grazie a un’elevata specificità d’azione sulle cellule somatotrope. Di tutti gli agonisti di sintesi della somatostatina oggi disponibili, solo alcuni sono entrati nella pratica clinica: in particolare, sono attualmente impiegati in terapia l’octreotide e il lanreotide. L’octreotide è stato il primo analogo a essere disponibile per uso clinico-sperimentale a circa metà degli anni Ottanta. Dal punto di vista strutturale sia l’octreotide che il lanreotide sono degli octapeptidi ciclici. L’octreotide mantiene il ponte disolfuro tra le cisteine, mentre la struttura ciclica è ridotta a soli sei aminoacidi rispetto ai dodici aminoacidi della somatostatina. La presenza del triptofano destrogiro in posizione 4 (D-Trp4) nell’octreotide ha permesso di aumentare considerevolmente l’affinità della molecola per il recettore SSTR2. L’octreotide presenta un altro aminoacido destrogiro (D-Phe1) sull’estremità C-terminale e un aminoacido idrossilato (Thr-olo8) all’estremità N-terminale. Queste modifiche rallentano notevolmente la velocità di degradazione di tale farmaco da parte di proteasi. Sono state approntate anche formulazioni
farmaceutiche a lunga durata d’azione dell’octreotide. La formulazione LAR è stata ottenuta incorporando l’octreotide in microsfere di un polimero biodegradabile. Il lanreotide è un altro SSA, di più recente introduzione nella pratica clinica rispetto all’octreotide, ed è disponibile anche esso nella formulazione a lento rilascio (SR). È l’unica altra molecola insieme all’octreotide a essere ampiamente utilizzata in terapia. Questo peptide è caratterizzato dalla presenza del gruppo D-β Nal1 (3-2 naftilalanina) nella porzione C-terminale. Come gli altri analoghi agonisti della somatostatina, inoltre, il lanreotide presenta un ponte disolfuro e una struttura ciclica esaminoacidica. Questo insieme di sostituzioni chimiche rende la molecola del lanreotide più resistente alla degradazione enzimatica, più attiva biologicamente e più affine al recettore SSTR2, analogamente a quanto osservato per l’octreotide. Il lanreotide, inoltre, si lega al recettore SSTR5 con un’affinità maggiore di quella esibita dall’octreotide. L’octreotide ha un’emivita di circa 100 minuti e dopo somministrazione s.c. alla dose di 50 μg è in grado di inibire la secrezione di GH per un periodo di 3-6 ore. È stato dimostrato che la soppressione stabile dei livelli plasmatici di GH nei pazienti acromegalici si può ottenere con la somministrazione cronica di octreotide. Un dosaggio di 100 μg s.c., 2-4 volte al giorno costituisce uno schema applicabile nella maggior parte dei pazienti acromegalici. Tale dosaggio risulta efficace nel ridurre i livelli plasmatici medi di GH e di IGF-1 nella maggior parte dei casi, con una completa normalizzazione degli stessi in circa la metà dei pazienti. La dose terapeutica è compresa tra 300 e 1500 μg/die. Per quanto riguarda la formulazione LAR, il dosaggio più conveniente è quello di un’iniezione i.m.
di 20-30 mg, in quanto capace di inibire i livelli di GH e di IGF-1 per un periodo di 4-6 settimane nell’80% dei pazienti (45, 46). Anche per il lanreotide è stata messa a punto una formulazione a rilascio prolungato (SR). Le concentrazioni plasmatiche di tale farmaco raggiungono i valori più alti dopo due ore dall’iniezione di 30 mg i.m. I livelli plasmatici si riducono nelle ore successive e ancora di più dopo 24-48 ore. Tali livelli di lanreotide rimangono intorno a 1 μg/l per 2 settimane. La dose raccomandata di somministrazione è di 30 mg i.m. ogni 10-14 giorni, sufficienti a ridurre significativamente i livelli di GH e di IGF-1 negli acromegalici (47). La terapia con SSA porta a un rapido miglioramento della sintomatologia clinica nei pazienti acromegalici. Si osserva, infatti, una riduzione dell’iperidrosi e degli edemi dei tessuti molli, un miglioramento della cefalea, dell’astenia, della parestesia e dei dolori articolari. Nei pazienti con severa cefalea, tali farmaci hanno mostrato di indurre un immediato e potente effetto analgesico anche con livelli di GH e di IGF-1 persistentemente elevati, suggerendo che un meccanismo sconosciuto potrebbe essere coinvolto nella riduzione del GH (48). Un miglioramento della funzione sistolica, della conduzione atrio-ventricolare e dell’emodinamica cardiaca insieme con la normalizzazione dell’ipertrofia della muscolatura ventricolare rappresentano uno dei più importanti risultati del trattamento con SSA, sia in termini di qualità di vita che di mortalità (49). Per quanto riguarda gli effetti sulla secrezione di GH e di IGF-1, è stata osservato nei pazienti acromegalici trattati con octreotide s.c. una soppressione dei livelli di GH <5 μg/l nel 22-66% dei pazienti trattati e una normalizzazione dei livelli di IGF-1 nel 40-68% dei
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Terapia dell’acromegalia
pazienti (50, 51). Soprattutto pazienti con microadenoma e con moderata ipersecrezione di GH hanno un’alta probabilità di ottenere una remissione biochimica dopo terapia con SSA. Tuttavia, un certo numero di pazienti sembra essere non responsivo al trattamento con gli SSA. Questo potrebbe essere dovuto a una riduzione nel numero dei recettori della somatostatina o a una ridotta affinità recettoriale. Ottimi risultati sono stati ottenuti con i preparati a lento rilascio. Con l’octreotide LAR la soppressione dei livelli di GH <5 μg/l era ottenuta nel 94% dei pazienti e <2 μg/l era ottenuta nel 56% dei pazienti. L’IGF-I veniva normalizzato nel 66% dei casi (52). Con il lanreotide SR la soppressione dei livelli di GH <5 μg/l era ottenuta nel 43-89% dei pazienti e <2 μg/l nel 50% dei pazienti trattati, mentre la normalizzazione dei livelli di IGF-1 era ottenuta nel 23-68% dei pazienti (53) (Figura 1). Benché sia l’octreotide LAR che il lanreotide SR sembrano in grado di ridurre i livelli di GH e di IGF-1 in uguale misura, la soppressione appare maggiore nei pazienti trattati con octreotide LAR che in quelli trattati Figura 1 – Soppressione dei livelli di GH e normalizzazione dei livelli di IGF-1 nella popolazione acromegalica sotto terapia con octreotide LAR, lanreotide, bromocriptina.
con lanreotide SR (54). Gli SSA sono in grado di ridurre, in alcuni pazienti, oltre ai livelli di GH anche il volume dell’adenoma ipofisario. Una significativa riduzione del volume tumorale si verifica nel 2050% dei pazienti trattati con l’octreotide s.c. (55). La riduzione del tumore si associa alla soppressione dei livelli di GH e alla normalizzazione dei livelli di IGF-1 nel 50% dei casi (50). Il 29-72% dei pazienti che avevano ricevuto octreotide LAR, mostrava una riduzione del tumore >20% (56). Anche la maggior parte dei pazienti trattati con lanreotide SR mostrava una riduzione di volume del tumore (11-60%). Un’accurata valutazione della riduzione del tumore è complicata da ottenere, poiché la maggior parte dei pazienti che ricevono gli SSA hanno precedentemente subito un intervento chirurgico o la radioterapia, procedure che possono distruggere l’integrità del tumore e determinare difficoltà nel misurare precisamente il tumore. Per quanto riguarda gli effetti collaterali, l’iniezione i.m. di octreotide LAR in circa il 30% dei casi è seguita da dolore localizzato (57). L’iniezione s.c. di octreotide provoca dolore, bruciore ed eritema
FIGURA 1 100
Percentuale
75
50
25
0
GH < 5 ng/ml Octreotide LAR
105
GH < 2 ng/ml Lanreotide
normale IGF-1 Bromocriptina
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di breve durata (10-15 min) in circa il 3% dei pazienti. Gli effetti sistemici sono rappresentati principalmente da disturbi gastrointestinali, colelitiasi, alterazioni della tolleranza al glucosio e disfunzioni epatiche. I disturbi gastrointestinali sono frequenti e appaiono connessi agli effetti degli SSA sulla motilità intestinale e sulla secrezione pancreatica. I più comuni sono i crampi addominali e la diarrea, mentre nausea e vomito sono più rari e comunque in genere meglio sopportati. La diarrea e i dolori addominali che l’accompagnano sono più frequenti all’inizio del trattamento. La colelitiasi si sviluppa nel 10-25% dei pazienti sottoposti a trattamento prolungato entro 6 mesi dall’inizio (50, 51). L’alterata tolleranza ai carboidrati si manifesta nel 2% dei pazienti sotto forma di iperglicemia lieve dopo i pasti. In definitiva, quindi, octreotide e lanreotide alle dosi utilizzate comunemente mostrano una buona tollerabilità generale (Tabella 3) .
c) GH antagonisti Gli antagonisti del recettore del GH rappresentano una nuova conquista nel campo della terapia medica dell’acromegalia. Allo stato attuale solo pochi studi ne hanno valutato l’efficacia in vivo e sono tutti incentrati sul B2036-PEG, un analogo sintetico del GH. Questo composto è in grado di inibire la dimerizzazione funzionale del recettore del GH impedendo l’attivazione dei meccanismi trasduzionali. La molecola attualmente utilizzata ha un emivita di circa 72 ore ed è somministrabile per via s.c. alla dose di 10-30 mg/die o 30-80 mg/settimana (58). Studi preliminari hanno evidenziato la notevole efficacia di questo composto nel ridurre i livelli di IGF-1. Tale risposta è dose-dipendente aumentando dal 54% dei pazienti con 10 mg/die all’89% di quelli trattati con 20 mg/die. Dovrà essere attentamente valutato in futuro se i GH antagonisti abbiano un effetto a lungo termine di stimolazione dei livelli di GH e della crescita tumorale (59).
TABELLA 3 Dopamino agonisti
Analoghi della somatostatina
Effetti sul GH
GH<10 μg/l nel 55% dei pazienti e μg/l nel 20%
Significativa riduzione del GH nella maggior parte dei pazienti. GH <5 μg/l nel 22-89% dei pazienti, dipendente dal volume del tumore e dall’ipersecrezione di GH
Effetti sull’IGF-1
Normalizzazione dell’IGF-1 nel 10%
Normalizzazione dell’IGF-1 in circa il 23-89% dei pazienti
Effetti sulla sede del tumore
Riduzione del volume del tumore in meno di un terzo dei pazienti
Significativa riduzione nel 20-68% dei pazienti
Effetti collaterali
Nausea, vomito, costipazione, dolori addominali, ipotensione posturale, congestione nasale, cefalea, vasospasmo
Dolori addominali, diarrea, flatulenza, nausea, dolori locali, colelitiasi, malassorbimento, bradicardia
Vantaggi
Basso costo, somministrazione orale
Rapido inizio dell’azione; no tachifilassi; alta efficacia clinica; miglioramento della compliance con la formulazione a lento rilascio
Svantaggi
Limitata efficacia clinica, necessità di dose alta
Alto costo, necessità di iniezioni
Tabella 3 – Efficacia della terapia medica nell’acromegalia.
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Terapia dell’acromegalia
Figura 2 – Algoritmo proposto per il trattamento dei pazienti con adenomi GH-secernenti. Le linee guida generali dovranno essere adattate alla valutazione delle differenti caratteristiche individuali dei pazienti. La scelta finale dovrà essere effettuata in relazione al rapporto rischio/beneficio, costo, età del paziente e altre variabili potenzialmente presenti in ogni singolo paziente. Un paziente anziano con un macroadenoma potrebbe essere trattato essenzialmente con analoghi della somatostatina: tuttavia, il paziente potrebbe anche essere pre-trattato e poi sottoposto a chirurgia per la decompressione del tumore. Un’alta positività della prolattina (30%) all’immunochimica potrebbe essere considerata come un predittore positivo per l’efficacia del trattamento con dopaminoagonisti da soli o in combinazione con analoghi della somatostatina. Le linee tratteggiate indicano opzioni da valutare sulla base delle caratteristiche individuali del paziente (Modificata da Drugs & Aging 17 (2): 81, 2000).
FIGURA 2 Acromegalia
Microadenoma o macroadenoma incluso
Macroadenoma, grandi tumori invasivi Analoghi della somatostatina pre-operatori
Chirurgia Guarito Ipersecrezione persistente di GH Follow-up
Immunochimica positiva per prolattina
Analoghi della somatostatina
Ipersecrezione persistente di GH
Modifica dello schema con analoghi Aggiunta o sostituzione con dopamino-agonisti Ipersecrezione persistente di GH
Radioterapia o GH antagonisti (?)
CONCLUSIONI La terapia dell’acromegalia si basa sull’approccio integrato del trattamento chirurgico e medico seguito in alcuni casi peculiari da radioterapia. Questo schema terapeutico comporta la cura della malattia in circa il 75% dei pazienti. In accordo con uno studio recente l’approccio deve essere differenziato in linea con le dimensioni dell’adenoma (Figura 2) (60). In un prossimo futuro è prevedibile che la sintesi di molecole sempre più poten-
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ti e selettive per i diversi tipi di recettori e dotate di proprietà farmacologiche più specifiche offrirà la chiave sia per conoscere meglio i numerosi effetti biologici e farmacologici della somatostatina sia per poter disporre di farmaci ancora più duraturi con minor effetti collaterali e con azioni più specifiche. La disponibilità di questi nuovi analoghi potrà migliorare ancora la percentuale di pazienti che otterrà cura della malattia con il vantaggio di una maggiore selettività d’azione e migliore compliance. L’uso
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dell’antagonista recettoriale del GH, disponibile prossimamente in Italia, permetterà un controllo dell’ipersecrezione di IGF-1 in oltre l’80% dei pazienti resistenti agli SSA. BIBLIOGRAFIA 1. Melmed S. Acromegaly. N Engl J Med 322: 966, 1990. 2. Nabarro JDN: Acromegaly. Clin Endocrinol 26: 481, 1980. 3. Bengston BA, Eden S, Ernest I, Oden A, Sjogren B. Epidemiology and long-term survival in acromegaly: a study of 166 cases diagnosed between 1955 and 1984. Acta Med Scand 223: 327, 1988. 4. Jenkins PJ, Fairclough PD, Richards T, Lowe DG, et al. Acromegaly colonic polyps and carcinoma. Clin Endocrinol 47: 17, 1997. 5. Melmed S, Ho K, Reichlin S, Thorner M. Recent advances in pathogenesis, diagnosis, and management of acromegaly. J Clin Endocrinol Metab 80: 3395, 1995. 6. Colao A, Lombardi G. Growth-hormone and prolactin excess. Lancet 352: 1455, 1998. 7. Wright AD, Hill DM, Lowy C, Fraser TR. Mortality in acromegaly. Q J Med 34: 1, 1970. 8. Bates AS, Van’t Hoff W, Jones JM, Clayton RN. An audit of outcome of treatment in acromegaly. Q J Med 86: 293, 1993. 9. Giustina A, Barkan A, Casanueva FF, et al. Criteria for cure of acromegaly: a consensus statement. J Clin Endocrinol Metab 85: 526, 2000. 10. Ross DA, Wilson CB. Results of transsphenoidal microsurgery for growth hormone–secreting pituitary adenoma in a series of 214 patients. J Neurosurg 68: 854, 1988. 11. Fahlbusch R, Honegger J, Schott W, Buchfelder M. Results of surgery in acromegaly. In: Wass JAH, (ed.) Treating acromegaly. Bristol: J Endocrinol 84: 49, 1994. 12. Laws ER Jr, Carpenter SM, Scheithauer BW, Randall RV. Long-term results of transsphenoidal surgery for the management of acromegaly. In: Robbins R, Melmed S, (eds.) Acromegaly: a century of scientific and clinical progress. Plenum Press, New York, 241, 1995. 13. Melmed S, Jackson I, Kleinberg D, Klibanski A. Current treatment guidelines for acromegaly. J Clin Endocrinol Metab 83: 2646, 1998. 14. Fahlbusch R, Honegger J, Buchfelder M. Surgical management of acromegaly.
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QUADRO SINOTTICO DEI FARMACI CITATI Sostanza farmaceutica
Nome registrato
Pergolide
Nopar
Lisuride
Dopergin
Bromocriptina
Bromocriptina Dorom, Parlodel
Cabergolina
Actualene, Dostinex
Octreotide
Longastatina, Longastatina Lar, Samilstin, Sandostatina, Sandostatina Lar
Lanreotide
Ipstyl
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